Trasmigra, il ciclismo su strada, dall’Italia e dall’Europa. Noi, che se fossimo direttori di un giornale sportivo qualsivoglia chiederemmo ancora al primo dei nuovi entrati “sai chi è stato Van Roosbroeck?”, pena il rimando a nuova data di fronte ad una scena muta,
Noi assistiamo con relativa rassegnazione alla orientalizzazione - postglobale - del ciclismo su strada. Arrivano i cinesi, una volta al Tour una volta al Giro, a fare disfida nelle retrovie con i giapponesi, senza neanche il colore vago di quel Mondiale ’90, ad Utsunomyia, primo il troppo sfortunato Dhaenens.
Arrivano i cinesi, abbiamo letto, per tramite di un mediatore elvetico di rapinosa qualità - Mauro Gianetti, do you remember? - a dare nuovo vigore alla Lampre - Merida, legata all’icona storica di Giuseppe Saronni. E sia, d’altra parte in un ciclismo dove l’icona diventa sempre più un ex-voto, poteva tranquillamente presentarsi questa sorte. Lo abbiamo imparato dal continente calcio, d’altronde, che con i soldi immensi ha una squisita devozione.
Trasmigrerà pure il World Tour, ma noi ci illuminiamo di immenso diversamente, di fronte a quella sublimazione del ciclismo che resta la pista. Che è, nuovamente, la pista.
Già. A quei caporedattori dello sport cui chiederemmo quale domanda di esame chi sia Filippo Ganna, lasciamo stare pure Van Roosbroeck, e di fronte all’impreparazione li spediremmo all’economia, oggi sottolineamo categoricamente quanta pista nuova ci sia in Italia.
Dopo Ganna, dopo il quartetto dell’inseguimento, dopo innanzitutto lo strepitoso oro di Elia Viviani a Rio, nell’omnium...
Viviani impone l’emulazione, come Ganna... Ed è stato così molto bello che abbia dichiarato recentemente di voler devoldere una parte del suo premio “Rio” all’ammodernamento e all’incremento tecnico del velodromo di Pescantina, in provincia di Verona. Per consentire ai ragazzi di imparare in pista quello che - del ciclismo - in strada non si può imparare. Il colpo d’occhio, la lucidità, il fremito, la simbiosi con la bici, tuttuno...
E questa dichiarazione romantica di intenti che viene dal Nord, in una Italia che di velodromi pienamente attivi, ha solo quello di Montichiari, fa eco curiosamente all’impegno singolare e orgoglioso che al Sud si sta dedicando ad un altro impianto, quello di Marcianise, un operoso centro di industria ed agricoltura, in provincia di Caserta... Quel “velodromo Vincenzo Capone“, un gioiello ultimato una quindicina di anni fa e inaugurato con una edizione dei Campionati giovanili nazionali, che era poi passivamente scivolato - senza batticuore particolare - nella malinconia dei sogni svaniti. Più ancora che nel novero delle “cattedrali nel deserto”, topos caro ad una lettura semplice del degrado urbano nel Sud.
Bene, a Marcianise, la passione per il ciclismo, e più ancora un amore orgoglioso da genius loci, del sindaco recentemente insediato - il giornalista Antonello Velardi - ha portato ad illuminare lo stato di indecoroso abbandono in cui versava il velodromo, con occupanti abusivi che ne sfruttavano da anni gli ambienti a costo zero e ne avevano danneggiato vandalicamente la stessa pista dedicata...
Fino a denunciare clamorosamente il tutto, compreso l’omesso controllo delle Amministrazioni precedenti, all’Autorità giudiziaria. «Il Velodromo deve tornare al ciclismo e a Marcianise, non restare rifugio di comodo, quasi fosse retrocesso a un manufatto per edilizia popolare, per altri destinatari!», ha dichiarato il sindaco Velardi, senza timore alcuno.
Rivolgendo l’invito ufficiale alla FCI del presidente Di Rocco e al Comitato Ciclistico campano di Pino Cutolo a prendere in affidamento, dopo la attesa bonifica dell’area dagli inquilini clandestini, un velodromo che potrà sollecitare le vocazioni e le qualità sopite di un Sud ciclistico in bici. (E mica tanto secondariamente, con la Legge al comando).
PS Velardi, dicevamo, è un giornalista. E conosce, non a caso, tanto Van Roosbroeck che Ganna. E non solo Filippo....
Gian Paolo Porreca,
napoletano,
docente universitario
di chirurgia cardio-vascolare,
editorialista de “Il Mattino”
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