Editoriale






BUONDÌ MOTTET. Rio non sarà ricordata come esempio di efficienza e organizzazione. Noi del ciclismo avremmo anche qualcosa da ridire, soprattutto per quanto riguarda la prova su strada, per quell’asfalto liscissimo e levigato, che sotto la vegetazione del bosco si è trasformato in una superficie insaponata, dove i corridori facevano fatica a restare in piedi e molti sono caduti infatti come pere mature. E cara grazia che non c’è scappato il morto, perché c’erano tutti gli elementi che accadesse. Cordoli, marciapiedi e fossi non protetti: se fossimo stati ad una corsa per ragazzini di un paesino alla periferia del mondo ce ne saremmo anche fatti una ragione, ma questo era il circuito olimpico, approvato da commissioni, provato dai corridori, proposto da organizzatori che non avevano neanche l’idea. Provare a chiedere a Richie Porte, che è rimasto appeso come una salamella ad una rete posticcia che però l’ha sorretto dal baratro. È andata bene al tasmaniano, ma non come sarebbero dovuti andare i Giochi. E il mio ringraziamento va a tutti quelli che hanno contribuito a questo indegno spettacolo: Cio, Uci e commissione atleti. Un particolare ringraziamento va anche a Charly Mottet - delegato tecnico dell’Uci - che il percorso l’ha visionato più volte, dispensando consigli e suggerimenti agli organizzatori. Pensa se non ci fosse stato.

PROFONDO ROSSO. Conti in rosso, rating tv in calo. Il business Olimpico esce da Rio con le ossa rotte e un bilancio disarmante. I Giochi non sono stati un affare ed è bene che Malagò e Renzi lo sappiano. La crisi del Brasile e gli stadi vuoti hanno mandato in passivo l’organizzazione. Il buco previsto è attorno ai 100 milioni di euro e - neanche a dirlo - sarà ripianato con i soldi dello Stato. Una botta che potrebbe rivelarsi fatale come per la Grecia, visto che anche il Brasile versa in gravissima crisi economica. Le cifre ufficiali parlano di 5 milioni di biglietti venduti, l’82% di quelli disponibili. Gli stadi sono apparsi quasi sempre tristemente vuoti. I costi per la sola organizzazione dei Giochi sono stati pari a 4,8 miliardi di dollari, il 56% più del budget secondo uno studio della Oxford University. L’audience è scesa del 17% (circa 31 milioni di spettatori a sera negli Usa) rispetto a Londra. La visione su piattaforme digitali del network è invece decollata con un bel +46%. Solo l’8% dei telespettatori ha guardato però i Giochi su smartphone o pc, a dimostrazione che l’evento interessa molto poco ai giovani, ai ragazzini che con gli smartphone ormai ci fanno di tutto. Dati, cifre, numeri: non parole.

PUNTI DI VISTA. Come ai tempi della scuola, quando si doveva prendere in mano la situazione e andare dal preside per avanzare le nostre rimostranze contro l’operato di un professore, la regola aurea era una e una sola: parla chi può parlare. Chi ha credibilità per farlo. Chi con quel professore cane ha almeno 7 nella sua materia. Quindi, anche noi tifosi italiani, parliamo ora dopo l’oro di Viviani. E diciamo che i sapienti strateghi di Cio e Uci dovrebbero intervenire sul grottesco regolamento dell’Omnium che dovrebbe premiare l’atleta più completo e capace in tutte e sei le prove e invece rischia di premiare chi se la cava solo nell’ultima e decisiva prova della corsa a punti. Se Elia è il simbolo dell’atleta più forte in tutte le specialità, Mark Cavendish - arrivato secondo - è il volto dell’atleta che è andato forte sono nell’ultima, visto che dispensava punti su punti. Ogni dieci giri una volata che vale 5 punti, che non vanno ad arricchire solo il ranking della corsa in questione, ma finiscono anche in classifica generale. Se poi, come Kluge, sei un esperto di rasoiate da “finisseur”, puoi sperare nel giro guadagnato che vale da solo 20 punti e anche questi finiscono irrimediabilmente nel paniere della generale. Insomma, è vero che si chiama corsa a punti ma in questo caso mi sembra che il peso specifico di questa prova sia del tutto sproporzionato rispetto alle altre. Ed è solo una questione di punti: di vista.

Pier Augusto Stagi
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