I signori del Tour, che sono pure i signori del ciclismo mondiale, guardano al futuro con un’idea fissa: ridurre da nove a otto gli atleti di ogni squadra. È una mossa pensata più per lo spettacolo (squadroni meno facilitati nel bloccare la corsa) che per la sicurezza, benché faccia un gran bene pure alla sicurezza. Per quanti effetti collaterali possa portarsi dietro, è comunque un’idea niente male. Bisogna parlarne, al più presto.
Già che ci siamo, però, trovo fondamentale parlare ancora, molto più a lungo e molto più responsabilmente, di altre modifiche da apportare in fretta. Personalmente, trovo grandissime innovazioni per lo spettacolo sgonfiare il gommone dell’ultimo chilometro sui corridori e inchiodare la moto delle riprese davanti alla maglia gialla, mandandolo a pelle di stracchino sul torrido asfalto di una salita decisiva. Nemmeno un genio delle sceneggiature sarebbe riuscito a innovare tanto, sul piano della suspense e della sorpresa. È solo sul piano della sicurezza che forse le modifiche non risultano così efficaci. Se i francesi non avessero un didietro enorme come la loro autostima, sai che fine avrebbe fatto il loro pregiato Tour. La corsa più importante, più grande, più prestigiosa, più tutto del mondo. Da quest’anno, la più grottesca.
Di questo bisognerebbe parlare, in sede di bilanci e di programmi. Altro che spazzare velocemente la polvere sotto al tappeto, come piace e come usa nella patria della forma e dell’apparenza (hanno inventato i profumi, ma ancora stiamo aspettando che scoprano il bidet). Fosse successo al Giro o alla Vuelta tutto quello che è successo in Francia, ancora staremmo a sentire le loro paternali. E le loro sprezzanti sentenze di superficialità, dilettantismo, faciloneria. Casualmente, gonfiabili in testa ai corridori e maglie gialle stese dalle moto-tv sono già storia indelebile del Tour. E i signori del Tour, signori del ciclismo mondiale, faranno bene a riflettere molto a lungo e molto profondamente su come sia possibile un simile scandalo. Su quanto grave e imperdonabile sia. Se esistessero le squalifiche anche per gli organizzatori, i maestrini dalla matita gialla dovrebbero saltare almeno quattro o cinque edizioni.
Siccome la fortuna è una gran baldracca, che sta sempre con chi ha più grana in tasca, stavolta è passata liscia senza danni. Yates, colpito e affondato dal gommone, se l’è cavata con qualche punto di sutura. Froome è riuscito finalmente a rendersi simpatico correndo come un postino con telegramma urgentissimo. Ma tutti, in giro per il mondo, ci siamo chiesti: se Yates o qualcun altro ne fosse uscito molto più conciato, o se addirittura Froome si fosse rotto una clavicola, rimettendoci il Tour, a questo punto che diremmo? Davvero parleremmo dei due episodi come di simpatici aneddoti del ramo colore?
Se l’idea degli imbarazzati vertici mondiali è chiudere la vicenda con il classico “sono cose che capitano”, questa idea devono tenersela. I due incidenti sono talmente gravi, potenzialmente così pericolosi, da meritare ben altro. Capitasse una cosa del genere ad Adriano Amici, come minimo gli chiuderebbero la corsa e gli stringerebbero la testa in una morsa da fabbro, per un paio di mesi. Purtroppo, c’è poco da farci conto: forti con i deboli e deboli con i forti, i massimi dirigenti Uci non avranno mai l’ardire (tanto meno l’intenzione) di presentare il conto al Tour. Anche perché se fanno appena per dire bau, capacissimi che si ritrovino loro fuori dalla porta.
La speranza più concreta è che siano gli stessi francesi, sensibili come sono al proprio prestigio, i primi ad affrontare le questioni. Prendendo le drastiche contromisure già per la prossima edizione. Mentre cominciano a pressare per ridurre le squadre da nove a otto componenti, provino a fare pressioni su se stessi per fissare la bandiera dell’ultimo chilometro in modo più affidabile e per impedire che la maglia gialla venga falciata dalle moto. Ne perde qualcosa lo spettacolo, ne guadagna enormemente la sicurezza. E la serietà dell’ambiente. A meno che non ci si venga a dire che abbattere i corridori sia l’ultima frontiera del ciclismo stellare, alle prese sul piano della pura corsa con un Tour banale, scontato, prevedibile, moscio. Ha una sua logica rispettabile. Ma la soluzione alla noia non può essere lo sterminio di massa.
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