EXIT. Non ne ho mai fatto mistero e oggi più di ieri sono convinto che occorrano poche regole, semplici e chiare. Non ho mai amato i codici etici né tantomeno la sovrapposizione tra associazioni o movimenti. Non sono in possesso di verità apodittiche, ma la vicenda Ulissi-Lampre-Mpcc è chiara. Molto più chiara dei regolamenti scritti dal Movimento presieduto da Roger Legeay, che rivendica il rispetto del principio di autosospensione e dell’applicazione dell’articolo 4 che obbliga le formazioni aderenti «a non ingaggiare, nei due anni successivi alla squalifica, corridori giudicati colpevoli di violazione delle regole antidoping». A non ingaggiare, si legge, ma non si trova traccia di casi che coinvolgano un corridore già contrattualizzato come Diego Ulissi, al quale viene comminata una pena di nove mesi. Io parto da un principio semplice e banale: per l’Uci, il massimo organismo mondiale del ciclismo, Diego Ulissi può tornare a correre alla fine di questo mese (il 28)? Il resto sono solo regole che possono andar bene per team Professional che vivono di inviti e hanno bisogno di bollini di qualità. Se mai la Lampre-Merida ha commesso un errore, è quello di aver aderito al MPCC, ma può sempre porvi rimedio. Non esiti: exit.
ALLA SALUTE. Sapete benissimo che non sono mai stato tenero con Luigi Simonetto e, di rimando, con il presidente Renato Di Rocco. La faccenda dell’inchiesta sui 56 medici sociali non mi piacque neanche un po’ fin dai suoi albori. Fu un errore politico; Renato Di Rocco e lo stesso Simonetto potevano riunire in una sala di un hotel di Roma tutti i medici accusati di “aver messo a repentaglio la salute” dei loro assistiti omettendo di aggiornare il famigerato e lacunoso software federale con certificati e parametri medici, invece hanno preferito sbatterli volutamente al pubblico ludibrio per screditarli. Ecco perché questa vicenda è stata anche un clamoroso autogol mediatico: non bastassero tutti i problemi che già il nostro sport deve vivere e sopportare, con questo ennesimo scandalo abbiamo fatto vedere ancora una volta il lato peggiore del nostro movimento.
Ora, dopo che l’Associazione Medico Sportiva ha detto il contrario, condannandone otto e assolvendo tutti gli altri, si è arrivati alla resa dei conti: politica. La commissione disciplinare della Federazione Medico Sportiva (FMSI) ha squalificato per due anni il grande accusatore Luigi Simonetto, responsabile sanitario della Federciclismo, unico medico federale membro della Commissione di Vigilanza ministeriale antidoping nata dalla legge 376. Le motivazioni non sono state ancora rese note, anche se la squalifica è stata decisa in base agli articoli 1 e 4 del codice di giustizia sportiva della Federazione (in tutti e due i casi è stato scelto il massimo della pena: un anno). Il primo parla di «mancata lealtà», il secondo di violazione dell’«obbligo di collaborazione».
Uno scontro duro e lontano da una conclusione serena, quello tra Simonetto e l’FMSI. All’orizzonte ci sono altri colpi bassi. Lo scontro si è arricchito qualche settimana fa di un altro gesto clamoroso. La Federciclo, come anticipato da tuttoBICI sul numero di febbraio, ha infatti deciso di spostare i controlli antidoping da Roma a Losanna, «anche per ragioni economiche, pur nel massimo rispetto per il direttore del laboratorio, Francesco Botrè», si è premurato di precisare il presidente Di Rocco. Per la Federmedici, invece, i «controlli a Losanna sono un terzo più costosi». Uno scontro che finora neanche la mediazione del presidente Coni Malagò è stata in grado di superare. Colpi bassi e fendenti violenti. Ma ognuno, ostinatamente, va per la propria strada, a testa bassa. Così, in nome dello sport sano, ci si fa il sangue cattivo. Ognuno con il proprio fardello di sconfitte. La situazione è al limite del surreale. Lotte di potere e di lobby, in nome di uno sport pulito e in salute. Dove non ci si rivolge più nemmeno il saluto. Prendetevi una camomilla, qualche goccina di “EN”, tranquillizzatevi e provate a parlarvi. Fatelo davvero in nome dello sport e della salute degli atleti. E poi beveteci sopra, per brindare ad una serenità ritrovata. Alla salute.
APPROFITTIAMONE. Non è mai carino guardare in casa di altri, ma nessuno può accusarci di non essere critici con noi stessi, con il nostro sport. Il ciclismo ha mille e più problemi da superare, ma colpisce la situazione del calcio, che ha le pezze al sedere e fa finta di stare benone: il caso Parma è solo uno dei tanti. Ma anche in Formula 1 non sono messi molto meglio. Mancano i soldi e i team fanno sempre più fatica a trovare sponsor da sbattere sulle loro sempre meno appetibili monoposto. Tanti i “furbetti del circuitino”, come Richard Branson, il magnate dell’impero Virgin che inizialmente aveva dato il nome alla squadra senza scucire il denaro necessario ma facendosi comunque un sacco di pubblicità. Illuminante, invece, il pensiero del responsabile della McLaren Ron Dennis in tema di sponsorizzazioni: «Il concetto di “title sponsor” oggi non esiste più - ha dichiarato -. Oggi bisogna dividere gli spazi in sezioni, per avere più aziende con filosofie simili che vogliono essere presenti con il loro marchio sulle nostre monoposto». In pratica dice: non posso vendere più il mio team a Vodafone? Bene, lo vendo a sette-otto aziende, magari ad ogni Gp cambio i nomi dei miei partner. I team manager del ciclismo sono autorizzati a sorridere, ma anche ad approfittarne.
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