xLa voglia di trovare, nei mesi spenti per il nostro calendario, del ciclismo sui giornali che non sia il ciclismo del doping, usato per richiami anche da altri sport, come a far capire da chi hanno imparato, chi hanno imitato. Il far finta che certe gare esotiche, nell’emisfero del sole d’inverno, ci interessino. Il simulare preoccupazione per il Giro d’Italia troppo dittatorialmente trattato dal Tour de France. Il cercare del ciclismo di questi tempi la chicca fuori dalla vicenda sportiva vera e propria, per esempio adesso il libro su Bartali che avrebbe cent’anni, uno straordinario collage-omaggio voluto ovviamente in quel di Firenze. E anche Alonso che con le sue paturnie ha finito per lasciare a piedi Bettini che aveva creduto davvero di poter fare una squadra per lui.
Non è un bell’inverno, nonostante il Tour 2014 di Nibali. Il quale Nibali sembra nella squadra kazaka una sorta di supersite, di sopravvissuto alle bufere del doping, e senza manco una scalfittura…
Certo che se un anno fa ci dicevano che un italiano avrebbe vinto anzi stravinto il Tour de France e ci invitavano a “disegnare” un inverno di celebrazione, e anche, perché no?, di sfruttamento del successo, sai lo sfrigolio di meningi. Invece eccoci qui con la quasi certezza che, se nelle scuole italiote si chiede ai piccoli di fare un temino, anche un semplice pensierino su Nibali, la maggioranza dei pargoli chiede chiede perché, anzi chiede chi è questo Nibali.
Intendiamoci, Nibali è un valore storico, oggi lo sport si nutre e nutre di fatti di cronaca, facili da percepire, afferrare, masticare, metabolizzare e anche espellere, scordare, senza impegno diciamo pure culturale. Di questi tempi un eccesso di tripudio nazional e anzi internazional popolare per Nibali ci avrebbe persino dato fastidio, e pensiamo che lo avrebbe dato pure a lui. Resta comunque il disagio per non avere saputo fare la festa giusta, e duratura.
E se una faccenda come il Tour de France con la sua poesia, la sua tradizione, la sua letteratura di anni e anni di cultura sportiva intorno all’evento e non solo, fosse un troppo per la sensibilità sportiva media di adesso, vellicata da tecnologie infernali e sport estremo? La Formula 1 automobilistica è accusata di essere troppo poco rumorosa, troppo poco pericolosa. Quello di Nibali è lo sport pacato, datato. È un classico, e chi legge più i classici?
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L’ultimo romanzo di Umberto Eco (bruttissimo, e lo scriviamo da suoi lettori ferventi e ora dolenti, da innamorati delusi) parla del mondo dei giornali, rappresenta una molto ipotetica redazione impegnata in numeri zero destinati a un allenamento per un piano di ricatti. Non c’è lo sport nelle attenzioni di questo giornale, non se ne parla per le troppe 218 pagine. Che Eco non ami lo sport? Che non lo ami perché non lo conosce, o proprio perché lo conosce non lo ritiene degno di amore? Che allo sport non si ascriva da parte sua nessuna possibilità di funzionare per qualche piano di ricatto, come invece tante altre umane cose che il giornale affronta, ospita, spupazza?
Certo che un Eco sui puzzapiedi del ciclismo o della maratona mi sarebbe piaciuto. Lo avrei accettato anche se avesse scritto di ciclismo macchina possibile di ricatti, magari per il tramite della internazionale del doping, Ma forse il libro è un suo gigantesco scherzo, e mica lo ha scritto lui, comunque mica lo ha scritto lui sul serio...
Nel mio piccolo, stimo Umberto Eco ad un punto tale che penso che non è Nibali che manca a lui, ma lui che comunque manca a Nibali.
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Sicuramente avete seguito, e per lungo tempo visto che sono durate anni, le epifanie televisive di Gaberiele Paolini, quel tipo occhialuto dalla faccia stralunata, picasssiana, che si piazzava dietro alle persone celebri intervistate sulla pubblica via, per collezionare apparizioni sul video. Fu preso in diretta a calci nel sedere da Paolo Fraiese buonanima, si permise tantissime apparizioni, ebbe celebrità discutibile ma reale, sino a che venne travolto da uno scandalaccio pedopornografico. I suoi successori, epigoni, eredi (fate voi) sono un anziano signore capelli sale e pepe che sta dietro all’intervistato simulando di essere giornalista, mordicchia una penna, tiene in mano qualcosa che vorrebbe essere un registratore, e un giovane biondo e quasi rosso, grosso anzi grasso, uno senza “strumenti” d’appoggio, usa se stesso e basta.
Di loro due si sono occupate le Iene: in fondo sono la sintesi e l’espressione della voglia italiota di andare sul video. La mia idea, la mia proposta è di invitarli al Giro d’Italia e dare vita a due concorsi: 1) quello fra loro, a chi colleziona più apparizioni sullo sfondo di interviste ad altri; 2) quello fra i telespettatori, per sapere se si sono accorti della loro presenza e cosa ne pensano (dieci righe, ricchi premi).
Temo che il secondo concorso andrebbe deserto, tante e tali sono le cose pazze a cui la televisione ci ha ormai abituati.
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