Rapporti&Relazioni
Un inverno difficile

di Gian Paolo Ormezzano

xLa voglia di trovare, nei mesi spenti per il nostro calendario, del ciclismo sui giornali che non sia il ciclismo del do­ping, usato per richiami anche da altri sport, come a far capire da chi hanno imparato, chi hanno imi­tato. Il far finta che certe gare esotiche, nell’emisfero del sole d’in­verno, ci interessino. Il simulare preoccupazione per il Giro d’Italia troppo dittatorialmente trattato dal Tour de France. Il cercare del ciclismo di questi tempi la chicca fuori dalla vicenda sportiva vera e propria, per esempio adesso il libro su Bartali che avrebbe cent’anni, uno straordinario collage-omaggio voluto ov­viamente in quel di Firenze. E anche Alonso che con le sue pa­turnie ha finito per lasciare a pie­di Bettini che aveva creduto davvero di poter fare una squadra per lui.
Non è un bell’inverno, nonostante il Tour 2014 di Nibali. Il quale Nibali sembra nella squadra ka­zaka una sorta di supersite, di so­pravvissuto alle bufere del do­ping, e senza manco una scalfittura…
Certo che se un anno fa ci dicevano che un italiano avrebbe vinto anzi stravinto il Tour de France e ci invitavano a “disegnare” un in­verno di celebrazione, e anche, perché no?, di sfruttamento del successo, sai lo sfrigolio di meningi. Invece eccoci qui con la quasi certezza che, se nelle scuole italiote si chiede ai piccoli di fare un te­mino, anche un semplice pensierino su Nibali, la maggioranza dei pargoli chiede chiede perché, an­zi chiede chi è questo Nibali.
Intendiamoci, Nibali è un valore storico, oggi lo sport si nutre e nu­tre di fatti di cronaca, facili da percepire, afferrare, masticare, me­tabolizzare e anche espellere, scordare, senza impegno diciamo pure culturale. Di questi tem­pi un eccesso di tripudio nazional e anzi internazional po­polare per Nibali ci avrebbe persino dato fastidio, e pensiamo che lo avrebbe dato pu­re a lui. Resta comunque il disagio per non avere saputo fare la festa giusta, e duratura.
E se una faccenda come il Tour de France con la sua poesia, la sua tradizione, la sua letteratura di anni e anni di cultura sportiva intorno all’evento e non solo, fos­se un troppo per la sensibilità sportiva media di adesso, vellicata da tecnologie infernali e sport estremo? La Formula 1 au­tomobilistica è accusata di essere troppo po­co rumorosa, trop­po poco pe­ri­colosa. Quello di Nibali è lo sport pacato, datato. È un classico, e chi legge più i classici?

fffffffff

L’ultimo romanzo di Um­berto Eco (bruttissimo, e lo scriviamo da suoi lettori ferventi e ora do­lenti, da in­namorati delusi) parla del mon­do dei giornali, rappresenta una molto ipotetica redazione impegnata in numeri zero destinati a un allenamento per un piano di ri­catti. Non c’è lo sport nelle at­tenzioni di questo giornale, non se ne parla per le troppe 218 pagine. Che Eco non ami lo sport? Che non lo ami perché non lo co­nosce, o proprio perché lo conosce non lo ritiene degno di amo­re? Che allo sport non si ascriva da parte sua nessuna possibilità di funzionare per qualche piano di ricatto, co­me invece tante altre uma­ne co­se che il giornale affronta, ospita, spupazza?
Certo che un Eco sui puzzapiedi del ciclismo o della maratona mi sa­rebbe piaciuto. Lo avrei accettato anche se avesse scritto di ci­­clismo macchina possibile di ri­catti, magari per il tramite della internazionale del doping, Ma for­se il libro è un suo gigantesco scherzo, e mica lo ha scritto lui, comunque mica lo ha scritto lui sul serio...
Nel mio piccolo, stimo Umberto Eco ad un punto tale che penso che non è Nibali che manca a lui, ma lui che comunque manca a Ni­bali.

fffffffff

Sicuramente avete seguito, e per lungo tempo visto che sono durate anni, le epifanie televisive di Gaberiele Paolini, quel tipo occhialuto dal­la faccia stralunata, picasssiana, che si piaz­zava dietro alle persone celebri intervistate sulla pubblica via, per collezionare apparizioni sul video. Fu preso in di­retta a calci nel sedere da Paolo Fraiese buonanima, si permise tantissime ap­parizioni, ebbe ce­lebrità discutibile ma reale, sino a che venne tra­volto da uno scan­dalaccio pe­do­pornografico. I suoi successori, epigoni, eredi (fate voi) sono un an­ziano signore capelli sale e pe­pe che sta dietro all’intervistato si­mulando di essere giornalista, mordicchia una penna, tiene in ma­no qualcosa che vorrebbe essere un re­gistratore, e un giovane biondo e quasi rosso, grosso anzi grasso, uno senza “strumenti” d’appoggio, usa se stesso e basta.
Di loro due si sono occupate le Iene: in fondo sono la sintesi e l’espressione della voglia italiota di andare sul video. La mia idea, la mia proposta è di invitarli al Giro d’Italia e dare vita a due concorsi: 1) quello fra loro, a chi colleziona più apparizioni sullo sfondo di in­terviste ad altri; 2) quello fra i te­le­spettatori, per sa­pere se si sono accorti della loro pre­senza e cosa ne pensano (die­ci righe, ricchi pre­mi).
Temo che il secondo concorso an­drebbe deserto, tante e tali sono le cose pazze a cui la televisione ci ha ormai abituati.
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