C’ è un mondo intero diverso, dentro e fuori di noi, “l’è tutto da rifare”, o no. E mercoledì 25 settembre, in Ambulatorio di Chirurgia Vascolare, all’Ospedale Monaldi di Napoli, ce ne siamo resi conto una volta di più. In fondo, per fortuna. E con buona pace, la cosa in estremo più importante, se un giorno prima o poi ci toccherà essere anche noi malati, dei pazienti. Mercoledì 25, a Napoli, un pomeriggio di sole splendido, altro che autunno, e il parco del Monaldi ve lo raccomandiamo, il culto magico del verde, il ristoro dei pini, il garbo delle tenaci fiorite, sarà che un tempo qui vi era un Sanatorio celebre.
Mercoledì 25, estate finita, settembre già trascorso con questa aria di stagione ancora accesa. E la rubrica da scrivere, sul limite del tempo massimo, come sempre.
Certo l’idea stavolta era buona, ottima direi, sarà che noi ormai a questa pagina dedichiamo il ritaglio di cuore più denso: eccola, una lettera a Mario Balotelli, dopo quelle sue volgari scempiaggini esibite nel dopopartita di Milan-Napoli, e il parallelo, al di là dei distinguo storici, con la figura di Gino Bartali, appena insignito del titolo di “Giusto fra le Nazioni”...
Nel rilievo della intollerabile discrepanza, misurata a decimetri quadrati, della attenzione della stampa italiana, anche in quella sportiva, fra un titolo di merito assoluto e di universale dignità civile - in attesa del riscontro del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano - quale quello guadagnato da Gino Bartali, un “pio” della storia, e le intimidazioni in stereofonia di Mario Balotelli ad un arbitro di calcio: “ti ammazzo”, recitano i comunicati, e ancora non riusciamo a credere a siffatta ignominia.
Mercoledì 25, e il desiderio di uno sport nazionale costituito che si ergesse a paladino di un valore etico, e imponesse - poniamo - ad uno come Balotelli, poichè il colore non può costituire un razzismo all’incontrario, di reindossare la maglia di gioco minacciosamente rimossa per mostrare una muscolarità estranea al buon senso comune, e di chiedere in pubblico e ad alta voce scusa all’arbitro minacciato. Altrimenti, basta con la Nazionale, tanto per dire. Come minimo.
Ma la nostra disabilità irrisolvibile è che siamo di quegli italiani (pochi ?) che avrebbero preferito perdere nel ciclismo, senza doping maggiore, e ancor più su un campo di calcio, piuttosto che con il contributo di Materazzi e Balotelli. (E che continuano a chiedersi - per un ulteriore inciso - se sia davvero credibile, in un paese di biscazzieri devoti, che il massimo colpevole ratificato nel calcio scommesse debba essere un biondo portiere belga).
Ma poi, ci convincevamo, ragionavamo, perché mai confondere Bartali con Balotelli, o al contrario sottrarre a Bartali e al suo mondo il totale di uno spazio che secondo noi continua e continuerà a meritare per sempre. E non solo nelle ricorrenze a cifra tonda, come un tempo diceva un direttore giovane.
Bartali, “Giusto fra le Nazioni”, e il suo ciclismo, e la sua epoca in bianco e nero. A tutto cielo.
Ci autoconvincevamo, mercoledì pomeriggio, che era meglio lasciarlo stare Balotelli e le sue fuoriserie di lusso e le sue palestre, e rifugiarci nella nostra solitudine da Bartali.
Nello studio medico, sotto il camice, “pio”. Augurabilmente come Bartali.
Quando, dopo un paio di visite, entra dentro il signor Basile, 65 anni, una equilibrata arteriopatia periferica da controllare con terapia medica, un bel fisico, “dottore, mi scusi, ma è lei, o un suo omonimo, quello che scrive di ciclismo?”, “sì, sono io, sono io, perché?”, “sapesse che fortuna potere parlare con lei, al di là della professione, per me, vede io sono cresciuto nel mito di Coppi, a casa mia, perché avevo uno zio tifoso e amico pure del campionissimo, e mi ricordo che una volta, e chi se lo scorda, mi portò a seguire Coppi nel Giro di Campania, sa, quello dell’Agerola, il ’55, credo, e fu uno spettacolo, c'era solo lui, e io, ero un bambino, chiedevo a mio zio “ma gli altri dove sono?”. Già, gli altri dove sono finiti.
Mercoledì, quel mondo esterno fuori o dentro di noi, trovava ancora così una sua pace improvvisa e miracolosa. Abbiamo ancora ragione a credere che dopo ogni curva ci sia un traguardo sereno. Altro che Balotelli, e suvvia lo andremo forzosamente a perdonare più in là, sono ragazzi..., anche se nel rispetto di una giusta verità delle cose qui “l’è tutto da rifare”. Tutto, già. Salvo il tempo, la memoria e gli amori di Coppi e Bartali. O Bartali e Coppi.
Gian Paolo Porreca,
napoletano,
docente universitario
di chirurgia cardio-vascolare,
editorialista de “Il Mattino”
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