Editoriale
Questo numero è intriso di dubbi e punti interrogativi: il peggior modo di fare giornalismo, mi avrebbe detto qualche anziano collega. Ma state tranquilli, in questa pagina che ormai avete negli anni imparato a conoscere, qualche risposta cercherò di darvela. Più che altro qui trovate degli spunti, mentre poco più avanti ci saranno altri elementi con i quali potrete farvi un’idea compiuta. Ma andiamo per ordine.

DUBBIO 1. Il primo dubbio è su Chris Froome, che senza dubbio è stato il dominatore assoluto del Tour de Centenario. Lui per primo l’ha capito e l’ha ammesso: impossibile non avere perplessità dopo quanto successo quest’inverno. Dopo la vicenda Armstrong, nulla sarà più come prima. I giornali e i loro giornalisti si sono visti accusare di aver tenuto chiusi gli occhi per anni: non tutti, ma moltissimi. Così, alla prima occasione, i giornali e i loro giornalisti hanno fatto vedere a tutti l’effetto che fa. Hanno mostrato a Froome, e non solo a lui, cosa può succedere quando si cerca di guardare al di là del proprio naso senza uno straccio di prova.
Per quanto mi riguarda, e lasciando da parte le VAM e le varie potenze stimate, mi limito a valutare quello che i miei occhi hanno potuto vedere: soprattutto quella domenica sul Mont Ventoux. Le accelerazioni di Froome, il suo mulinare forsennato sui pedali mi hanno lasciato semplicemente basito. Posso dirlo? È un mio diritto? Credo proprio di sì. Dopo più di trent’anni di militanza nel mondo del ciclismo e non so quante corse, penso di poter dire quando ho dei dubbi. E in questo caso ne ho avuti più d’uno. Poi, dopo aver usato la pancia (leggi l’istinto) sono tornato alla ragione e mi sono rasserenato, in attesa delle prove inconfutabili che devono essere prodotte per mettere all’indice un atleta. E, francamente, in futuro spero che i miei dubbi non siano mai avvalorati o suffragati da uno straccio di prova. Meglio una figura da bischero in più che un nuovo terremoto che potrebbe risultare per tutti fatale.
A scanso di equivoci, voglio anche dire che l’operazione trasparenza messa in atto dal Team Sky - ma questo vale anche per tutte quelle squadre che l’hanno fatto prima e lo faranno in seguito - poco m’importa. I dati contenuti nell’SRM del keniota bianco li ha forniti il team Sky, e quelli che sono stati chiamati a valutarli e lo faranno in seguito non hanno potuto e non potranno far altro che dare un giudizio su dati parziali, selezionati alla bisogna dal team della maglia gialla. Quindi, lasciamo da parte la trasparenza e affidiamoci ai laboratori: l’unica Cassazione che io conosca.
A quelli che invece dicono che oggi è dura farla franca e che alla lunga la verità viene sempre a galla, vorrei ricordare che la verità di Armstrong è venuta fuori solo grazie alla giustizia ordinaria, all’Interpol e agli 007 che l’assicurazione Sca, la Us Postal e via elencando hanno messo in campo per incastrare il texano. Insomma, la giustizia sportiva e l’antidoping, in questa storia, non c’entrano assolutamente niente. Se fosse stato per loro, Armstrong sarebbe ancora qui a raccontarcela.
Infine, un ultimo dubbio: siamo poi sicuri - come sostiene Dave Brailsford, grande capo del Team Sky - che la vittoria di Froome e questo Tour segni «l’inizio di una nuova era»? Con cinque ispanici nei primi dieci siamo proprio certi di quello che molti vanno in giro dicendo? Io no.

DUBBIO 2. In questo numero c’è anche una storia fatta di diffide, denunce, controdenunce e colpi bassi in nome delle Granfondo e la promozione del ciclismo nella nostra Capitale. Da una parte c’è Bicitaly di Gianluca Santilli, dall’altra il Gs Termoli di Bruno Irace. Da una parte la ormai nota - nonostante sia andata in scena una sola edizione - Gran Fondo Campagnolo a Roma, dall’altra la «Gladiatori». Da una parte Santilli che sostiene che la manifestazione ciclistica da lui creata è addirittura un’opera dell’ingegno e quindi degna di esclusiva sul territorio. Mentre dall’altra c’è un giudice che si è fatto una grassa risata e ha dato ragione al Gs Termoli di Bruno Irace. Poi, insieme a tutto questo, ci sarebbero tante altre piccole grandi domande. Io mi limito a farne una sola: le Gran Fondo (e le società che le organizzano) non hanno per statuto il veto di fare del business? Il ricavato (in questo caso elevato, visto che più di 5 mila sono stati i partecipanti della prima edizione, ad un costo medio di 45 € al quale vanno aggiunti tutti i vari sponsor annessi e connessi) non dovrebbe essere reinvestito in attività di promozione? E soprattutto, che bisogno c’è di costituire una società, la Bicitaly asd, che poi diventa Bicitaly s.r.l. - società di capitali - che è poi quella che agisce per la tutela dei suoi interessi, della quale però non si possono conoscere i soci, tutti coperti da un’intestazione fiduciaria della Finnat Spa e che a sua volta avrebbe acquisito i diritti della Gran Fondo Roma addirittura da una società cipriota? Insomma, tutto questo è perlomeno singolare. Per organizzare una Gran Fondo - seppur bene e di grandissimo impatto - è davvero necessario costruire un castello di siffatta natura? È solo un dubbio.

Pier Augusto Stagi
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