Questo mese devo fare doveroso esercizio di buona educazione e di diplomazia internazionale: è con vero piacere che dò il più sincero benvenuto, mio e del mio Paese, al ministro dello sport spagnolo, il signor Josè Wert. Per la verità lo aspettavamo da molto tempo, per la verità arriva in imperdonabile ritardo, ma almeno finalmente è qui, tra noi umani. La sua dichiarazione dopo la sentenza Contador lo dimostra inequivocabilmente: “Effettivamente, in Spagna abbiamo un problema con il doping”.
Però, la prontezza. Da anni nella sua stimata monarchia repubblicana, o repubblica monarchica, si registrano le porcherie più assurde e più spudorate. Da anni in altre nazioni europee la politica ha preso atto della grave piaga doping, correndo ai ripari nei modi più diversi, spesso sgangherati e approssimativi, ma comunque con polso fermo e senza reticenze. Cito, a beneficio del ministro spagnolo che evidentemente stava girato dall’altra parte, l’Italia, la Francia, la Germania. Così a caso.
Mentre tutto questo succedeva, la pregiata penisola iberica viveva la sua allegra epopea, al grido siamo i più forti, checcefrega del doping. Vincevano tutto, facevano bullismo nazionalista, ridevano in faccia a chi sommessamente chiedeva almeno una parità di trattamento tra competizioni e tra atleti dello stesso continente. Niente, la febbre da primato era più alta di qualunque dubbio e di qualunque pudore. E pazienza se il più grande scandalo farmacologico della storia si registrava proprio nel cuore della Spagna e della sua capitale, Madrid. E pazienza se il capo di questa emocricca era un medico ginecologo che operava alla luce del sole, ricevendo nel suo ambulatorio moltitudini di sportivi. E pazienza se i celebrati campionissimi del ciclismo ispanico uscivano sempre immacolati dai controlli in casa propria, salvo cadere come mosche non appena mettevano piede nelle corse straniere. Niente. A fronte di questo andazzo, la Spagna è andata avanti per anni garrula e leggera come se niente fosse. Il doping? E che è il doping? Non sappiamo di cosa parlate, non conosciamo, non ci riguarda.
Così fino allo storico febbraio 2012. Presi a badilate in faccia con la squalifica del loro asso Contador, improvvisamente si svegliano. Non tutti, neanche a pensarci: il popolo fiero, guidato demagogicamente dalla stampa patriottarda e ultrà, inalbera ancora l’orgoglio ferito, avviando una crociata di piazza che trasforma il dopato in eroe e martire. Arrivano persino a rinfacciare la lunghezza del processo, i cialtroni, come se non sapessimo tutti che a tirarla così in lungo sono stati prima la loro federazione, facendo finta di niente e lasciando a piede libero il corridore, quindi i pagatissimi avvocati dello stesso corridore, che hanno preteso una lista di consulenze, perizie, memorie da superprocesso al terrorismo.
Eppure, in mezzo a questa vergognosa gazzarra nazionalista, sopravvive evidentemente anche qualche caso di equilibrio mentale. Badilata dopo badilata, finalmente, pare che almeno il ministro dello sport, l’esimio signor Josè Wert, si sia reso conto che qualcosa non va. Che qualcosa stride. Che qualcosa va aggiustato.
Io non so dire dove questa timidissima ammissione, questa dolorosa presa di coscienza, questa improvvisa svolta, porteranno nel prossimo futuro. L’auspicio è che un giorno o l’altro anche la Spagna decida di tornare in Europa, adeguando le sue leggi e il suo sistema di controlli alla media continentale. Sinceramente, il ritardo da recuperare è enorme. Non so quanto ci vorrà, non so se davvero ne avranno la voglia, questi politici, davanti allo spettacolo indecente della rivolta di piazza pro-Contador. In ogni caso, conviene sperare. Un segnale c’è. Come diceva Mao, a piccoli passi si percorrono grandi distanze. Nell’attesa, rinnoviamo il cordiale saluto: ministro, benarrivato. Nemmeno l’aspettavamo più.
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