Rapporti&Relazioni
Ci restano i libri

di Gian Paolo Ormezzano

Il mondo del ciclismo ha una sua editoria, periodica e no, piuttosto fiorente, e le celebrazioni dei cinquant’anni dalla morte di Fausto Coppi e dei dieci dalla morte di Gino Bartali hanno dato un incremento particolare a pubblicazione di libri e simili. Il ciclismo ha molti musei, e si può dire che iconograficamente stia as­sai meglio del calcio, che vive es­sen­zialmente grazie a Firenze, e in­tesa come Coverciano più che co­me Fiorentina, anche se la società viola è assai più efficiente di altre nel commemorarsi. Il ciclismo pe­rò ha poco spazio ormai non solo nei quotidiani sportivi che non sia­no La Gazzetta dello Sport, istituzionalmente e diremmo anche ca­no­nicamente (il rito del suo Gi­ro d’Italia, un rito lungo nel tempo anche per prodromi ed echi) votata ad esso, pur nel limite di recenti profonde trasformazioni editoriali, ma anche e soprattutto sulle pagine sportive dei quotidiani politici.

Qui corse anche di nome, che una volta smuovevano un inviato speciale e ottenevano titoli a più colonne, sono spesso ridotte ad una breve, come vengono chiamate quelle notizie su una colonna e al massimo di dieci righe, e neanche sempre provviste almeno di un titolino su una riga, soltanto un pallino prima del testo - una separazione dal resto, più che un richiamo - e l’irregimen­ta­zio­­ne in una rubrica di notizie similmente comprese. Spiace farlo notare a chi eventualmente fosse sin qui riu­scito a ignorare la cosa, ma quando un quotidiano politico im­portante dà grande spazio al ciclismo, magari fuori dalle sue pagine dedicate allo sport, è per notizie di doping. Mentre quando lo spazio viene dato nelle pagine ad hoc, quelle destinate ad eventi agonistici, c’è una ricerca non tanto del gos­sip (ma forse soltanto perché il gossip qui è scarso, il ciclista non ha sex appeal, specie adesso che Ma­rio Cipollini non corre più), quanto del particolare cu­rioso, a cui agganciare se del caso tutto l’ar­ticolo. Tanto per fare qualche esempio: le vicende cliniche di Armstrong, la Montecarlo di serie B, quanto a capitali e interessi trasferiti là, di alcuni pedalatori, o i relativamente onerosi guai col fi­sco di un ciclista appena appena famoso e appena appena ricco, la curiosità geogastroeno­tur­sitca le­ga­ta ad una certa corsa. Poco sport nudo e crudo, tanto con­torno altamente di giornata, episodico, contingente, e per fortuna non (non ancora) pruriginoso: quasi che il ciclofilo per la sua patetica amorosa tenacia di frequentatore dello sport beneamato sia ritenuto persona troppo semplice, o troppo poco cretina, o ancora abbastanza intelligente per abboccare a certi ami.

Va da sé che, perdendo lettori sui giornali quotidiani, si perdano scrittori: perché è vero che lo scrittore “fa” il lettore, ma è anche vero il contrario. Se cioè ci sono tanti potenziali lettori in attesa appunto di leggere, non solo lo scrittore (o anche soltanto lo scrivente, in questo caso il giornalista) è sollecitato a dare il me­glio, ma scrittori a priori estranei al mondo della bicicletta si sentono da esso attratti.
(Fra parentesi: un volta si scriveva “il mondo delle due ruote” e ciò bastava per la connotazione del pianeta-ciclismo, adesso è meglio dire “il mondo della bicicletta”, perché “il mondo delle due ruote” è spesso quello del motociclismo di Va­lentino Rossi e dintorni e contorni).
Si dice che tutto deriva, dipende, viene deciso dalla televisione, nonché dalla natura stessa del ciclismo, che non sollecita la ricerca di effetti speciali, l’introduzione di teletecnologie spinte e attraenti, cattivanti. Il ralenti di una pedalata è in effetti noiosissimo. Fun­zio­na spettacolarmente bene quello della volata, anche con l’effetto-ri­schio di caduta, ma è scena che si ripete una volta sola per competizione: e poi non sempre la volata c’è, e in caso di arrivo solitario non si può troppo contare sulle doti espressive, sulla gestualità speciale del vincitore trasformabile dal ra­lenti in ipotetico attore, in eventuale mimo.

Forse ci vorrebbe - già detto e scritto anche qui, ma pare che repetita juvant, o meglio che considerando tutto repetere necesse est - un Hemingway che narrasse la corsa e i suoi dintorni e contorni, il panorama e l’umanità che lo popola. Non inventando, come facevano i celebri cantori d’antan, così appassionati a creare incantamenti che trascuravano spesso grammatica e sintassi, ma interpretando. Attualmente un so­lo giornale italiano si permette il lusso di mandare ad una corsa, quella sola, uno che narra di contorni e dintorni assortiti oltre che di vicende agonistiche: parliamo di la Repubblica, con Gianni Mura sul Tour de France. Un uomo solo al comando di un esperimento iterato ma non imitato, forse per ca­renza o scarsa voglia di sperimentatori validi. Personalmente non co­nosco rimedi, soluzioni immediate o a lungo termine. I giornali quotidiani sono quelli che sono, spesso quelli che ormai non sono. Se dico che ai ciclofili restano i li­bri, vengo sospettato di conflitto di interessi, perché ne scrivo an­ch’io. Cerco di salvare la capra e i cavoli segnalando un libro che non è di ciclismo, ma che il ciclismo si meriterebbe, scritto da opera di uno come Giorgio Cimbrico, giornalista ligure autore di La regina e i suoi amanti, ed. Absolutely Free, 170 pagine, 16 euro bene spesi alla luce dell’ascesa recente e spesso smodata dei prezzi librari. Un ro­manzo dell’atletica leggera persino più appassionante che appassionato (ci sono anche risvolti critici, e l’autore è tatuato ma non accecato dallo sport che ama), con i suoi eroi più celebri e anche quelli un po’ segreti, da Dorando Pietri a Usain Bolt, con tanta storia e tante storie, tanta cultura della geopolitica olimpica e non solo, dell’etnos, della tecnica, tanta somministrazione di dati ma con grazia af­fettuosa, amorosa, spesso poetica.

Perché ne parlo qui? Perché vorrei tanto che nel ciclismo uscisse, scritto da un magico Pincopallino, un libro così, che fa pensare e sospirare e ricordare e conoscere e valutare e cantare insieme. La materia prima non manca, anzi. Ma Cimbrico è uno che ama il rugby e non il calcio, e vuoi mettere il vantaggio culturale e dunque anche giornalistico che ha?
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