Comincio dal calcio ma tranquilli, è per parlare meglio del ciclismo, o per dire su di esso qualcosa di nuovo e forse di interessante.
Il calcio, dunque. Qualche mese fa un importante quotidiano spagnolo, El Pais, di una nazione calciofila e detentrice del titolo europeo, e dunque, si presume, assai interessata agli studi sulla sfera di cuoio, ha pubblicato un articolo, ripreso da un mensile calcistico francese molto intellettualsatirico, in cui si ricordava la tragedia che (frase nel titolo) “cambiò il volto del football mondiale”, cioè la fine del Grande Torino, il 4 maggio 1949, nella sciagura aerea di Superga.
Il perché? Se non fosse scomparsa, quella squadra, travasata per dieci (già avvenuto) e anche undici undicesimi nella Nazionale italiana, avrebbe quasi sicuramente vinto il titolo mondiale, nella manifestazione in calendario per il 1950 negli stadi del Brasile, facendo sì che il grande calcio internazionale:
1) si desudamericanizzasse, invece di consegnarsi, come accadde in quel 1950, non solo all’Uruguay campione a sorpresa, ma anche al Brasile sconfitto nella finale e però dominatore del torneo sino alla penultima partita del torneo;
2) il calcio italiano, depauperato brutalmente dei suoi migliori giocatori, non avrebbe dovuto sublimare, per carenza di talenti, il catenaccio a sistema obbligato di “non gioco”, causando contagio e danno a tutto il mondo del pallone;
3) quell’Italia avrebbe giocato e vinto anche divertendo, come faceva il Grande Torino, in maniera comunque più pratica e moderna del calcio “ballato” dei sudamericani ancora adesso fumosi e, talvolta, persino frivoli;
4) l’Italia di quel Grande Torino avrebbe facilmente imposto il suo modo di vedere e praticare il gioco anche con la forza aritmetica e statistica dei suoi tre titoli mondiali consecutivi (nel 1934, nel 1938 e, dopo la pausa bellica, nel 1950).
Naturalmente da tifoso del Toro ho usato assai quell’articolo del giornale spagnolo, e in fondo anche qui continuo ad usarlo. Questa volta però mi serve, l’articolo, non da linimento alle ferite che la squadra granata mi procura con la sua decadenza, quanto a introdurre il tema dei confronti nello sport, delle ipotesi di supremazia di tizio e di caio anche se proiettati in un tempo che non è il loro.
Il mio speciale personale giro d’Italia per promuovere il mio libro sulla rivalità fra Coppi e Bartali mi mette, fra l’altro, a contatto con tante ma proprio tante persone che mi sollecitano non solo il paragone fra i due, non solo quello fra Coppi e Merckx, che comunque merita una attenzione speciale.
“Coppi il più grande, Merckx il più forte”: ho inventato io la frase, molti la usano approvandola, altri no, dicono per esempio che Coppi trionfò anche in pista, dunque fu più forte di Merckx. Io obbietto che se uno vince in pista come su strada, nell’inseguimento come sulle salitone, questo può significare che il ciclismo è sport in ritardo di evoluzione, visto che tollera e persino esalta la non specializzazione. Per spiegarmi meglio dico che le otto medaglie d’oro ai Giochi di Pechino 2008 conquistate dal nuotatore statunitense Phelps sono una quasi mortificazione del nuoto, che si consegna in stili e distanze diverse alla stessa persona, restando lontanissimo dalla specializzazione che in altri sport è la vera esaltazione dell’atleta moderno.
Ma adesso passo alla mania dei confronti. Mi chiedono, ed è gran regalo se lasciano in pace Coppi e Bartali e Merckx e Binda: in salita meglio Gaul o Bahamontes? a cronometro meglio Anquetil o Baldini? in volata meglio Van Looy o Poblet? Io prima ringrazio per la fiducia che viene riposta nel mio sapere, poi dico che non so, oppure che non si possono fare certi confronti. Se vengo ulteriormente sollecitato a pronunciarmi, dico che non me ne frega niente di decidere se in discesa è meglio Magni o Nencini, Zilioli o Savoldelli. Il che, fra l’altro, è vero. Ma spesso noto che arreco dispiacere, delusione, e la cosa non mi va. Se dare scandalo ad un fanciullo è cosa tanto tremenda che il colpevole dovrebbe suicidarsi gettandosi in acqua con una pietra legata al collo, trattar male un ciclofilo è forse cosa ancora peggiore.
Qui provo semplicemente a dire, anzi a scrivere, che i confronti a distanza sono assolutamente impossibili, anche perché intorno agli atleti che si dovrebbero opporre teoricamente uno all’altro ci sono mondi diversi, e che però questi stessi confronti sono divertentissimi, quasi affascinanti, praticamente irrinunciabili.
E infatti mi è piaciuto molto l’articolo di El Pais in cui in fondo si dice che il Grande Torino era più forte del Brasile, dell’Uruguay, di tutte le squadre del mondo, e ho ammollato questo articolo ai cinque dei miei sei nipotini già capaci di leggere, promettendo ricchi premi a chi lo imparasse a memoria e me ne riferisse bene (i lavori sono in corso da tempo e lo saranno per chissà quanto tempo).
Faccio notare che si operano confronti anche nel settore degli sport motoristici, confronti fra gli uomini, dunque vaghi, e non sui motori, che almeno possono essere rappresentati con riferimenti scientifici, seri e validi universalmente. Sta per cominciare l’orgia della Formula 1, in cui si devono prendere decisioni estreme quali: su Ferrari, meglio Alonso o Schumacher? lo Schumacher di questo 2010 del suo ritorno è più forte dello Schumacher iridato per il Cavallino? l’Alonso della Renault è superabile da parte dell’Alonso della Ferrari?
Discussioni da Bar Sport, d’accordo, ma sapere che il Bar Sport non muore mai in fondo è cosa bellissima, è fornitura di almeno una certezza. E a proposito, per finire dove ho preso il via, lo sanno i poveracci del calcio che se la moviola entra negli stadi il Bar Sport chiude, sprovvisto di quella imprescindibile materia prima che sono le discussioni sul rigore-non rigore, fuorigioco-non fuorigioco, addirittura gol-non gol? Mi vien voglia, da sadico sperimentatore, di scrivere a favore della moviola in campo, tradendo il mio amico Platini che ancora giocatore mi regalò la sua idea del divieto di usare le mani per il portiere in caso di retropassaggio di piede, cioè la vera rivoluzione epocale del calcio, e che da presidente Uefa e amico del Bar Sport non vuole tecnologie insieme inquisitrici e dogmatiche dentro gli stadi.
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