Cara Bendù, sai, a mio padre, che era anche tuo nonno, non piaceva molto il ciclismo. Come a tuo padre, e lo sai bene, più di tanto non piace affatto il cinema.
Io mi sono fermato ad un palco di cinefilìa anomala, dove il brivido sentimentale è affidato a La prima notte di quiete, a Mr Klein, a Salvate la tigre, al di là del ciclofilo All american boys... (Vabbè, mi allungo, quando sono in vena pure a Balla coi lupi). Ma non oltre.
Non mi piace il cinema che piace a te oggi, Bendù, come a mio padre non piaceva il ciclismo che affascinava me allora... Forse solo perchè ai genitori non “devono” piacere, per il timore innato che un loro cucciolo si avanza al buio, quelle passioni dei figli che possono portarli al di là di quel territorio controllato, per loro già esplorato e da essi presidiato. Off limits.
E mi sono smarrito, anzi in fondo commosso, nel pensare a come le storie della vita si possano incrociare incredibilmente sulle rotaie di un treno regionale. Io, che su una vettura della ferrovia Alifana cercavo di non sbagliare la stazione di Benevento, per andarmi a spendere quel preziosissimo invito appena ricevuto, a seguire nel ’73, la mia prima tappa di un Giro d’Italia.
Tu, mia figlia, sull’accelerato, se esiste ancora con questo termine un convoglio locale, uno di quelli che fermano ovunque, che sulla linea Napoli-Roma via Cassino, portava a Colleferro. Per poter assistere lì, due settimane fa, alla prima italiana riservata di quel film neo-romantico che ti ha preso oltre modo il cuore, New Moon, il sequel di Twilight. In esclusiva, per quei ragazzi che come te avevano fatto parte del casting delle riprese del film in Italia, a Montepulciano.
Quel mio padre, severo professore di fisica, che non vedeva di buon occhio il mio amore per il ciclismo, “ti distrae troppo”. E questo tuo padre qui, con il cuore condiviso tra la medicina e le due ruote, che per ’sta cinematografia attuale che straripa, e tanto più per questa saga cult dei vampiri innamorati made in Usa che strega i ragazzi, nutre una profonda diffidenza.
Io, che nel ’73, a 23 anni, con una improbabile giacchettina azzurra di lino, consumavo a piccole dosi un soldo inatteso di felicità: io, con il passepartout di Raschi e Torriani, tra Gianoli e Negri, Bonera e Melli, io proprio, come in un sogno, tra Cribiori e De Vlaeminck, Gimondi e Bartali, a fianco del brillante Ormezzano. Nella Benevento-Fiuggi, sulla 131 Fiat rossa guidata da un mito come Graziani.
Tu, che nel 2009, a 23 anni, ma guarda un po’ la stessa età, hai vissuto questo batticuore di condividere un progetto, una atmosfera, una favola non da tutti.
Tu, emozionata tra Robert Pattinson e Kristen Stewart - scusami, anzi, se sbaglierò qualche finale, ma mica sono ciclisti... -, a cercarti in una inquadratura da prima comparsa. “Sai, sono quella sotto il palco...”.
I cuori, lo so bene, sono fatti per battere. Ma perdonami, e spero di girare al largo da Edmondo De Amicis, se i genitori non possono capirlo
sempre. E comprendimi se non ho condiviso - se non oggi, su questa pagina, per questo ricordo illuminante - il tuo volo nel sole.
Resto un papà con le ruote per terra, e che non riesce a gridarti “vaaaiii”, come quando ti lanciava sulla prima bici, lasciandoti a stento il sellino.
Ma per te, questo parallelo di emozioni che ci hanno visto protagonisti di una stessa età ha in serbo un messaggio complice.
Sai, da quella giornata favolosa tornai con un cimelio modesto, l’autografo di Roger Gilson, il biondo corridore lussemburghese, terzo all’arrivo. Lo rivedo ancora timido, come spaurito, il corridore della Rokado, solo, fra la gioia straripante dei familiari di Tullio Rossi, il vincitore. Uno scippo, su un ritaglio rosa. Una firma da gregario, sillabata, mica quella di Merckx.
Etu, invece, mi hai fatto vedere, gongolante, al ritorno a casa, un altro trofeo: “papà, ma lo sai di chi è questa firma? È l’autografo di Chris Weitz, il regista, un padreterno, lui proprio! Ci pensi, papi?”.
Sì, ragazzina, ci ho pensato. Da Gilson a Weitz. E sono senza dirlo orgoglioso di te. Come fossi già arrivata prima. Un autografo, a 23 anni, hai visto mai, già da Oscar.
tuo padre
Gian Paolo Porreca,
napoletano,
docente universitario
di chirurgia cardio-vascolare,
editorialista de “Il Mattino”
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