Scripta manent
Grazie, Kuiper

di Gian Paolo Porreca

Anoi non ci illumina il Cielo. E “C” maiu­scola, come sembra abbia fatto il motore per­pe­tuo, parole sottoscritte di Kakà, per convincerlo au­to­referenzialmente a restare al Milan. (Un Cielo in campo a favore del “diavolo”, ohi­bò...).
E tantomeno ci appartiene la dedizione propria ad im­pu­gnare la racchetta - gesti bian­chi? - a favore del sal­bu­ta­mo­lo improprio, come fa il raf­finato Gianni Clerici su Re­pub­blica, tacciando sic et sim­pliciter di ingiustizia la squa­lifica comminata a Vo­landri per doping.
Per un disco verde im­ba­raz­zante agli asmatici a rischio di Ventolin anabolizzante, nel tennis dei bei gesti e de­gli spalti parzialmente gre­mi­ti. Con buona pace di Pe­tac­chi e Gonzales de Galdea­no...

A noi, figli di un dio minore e laborioso, compete però l’enor­me gioia di poter salutare a piena pagina, e affidare ai lettori, i 60 anni, il 3 feb­bra­io, di Hennie Kuiper. Illu­stra­ti, giro su giro, dalla luce di un cielo che non pretende la no­blesse della iniziale ma­iuscola.
E di confidare nella lunga sto­ria di questo campione olan­de­se i valori immensi di sa­crificio, gloria e dolore che nel ciclismo - quando vero - sono racchiusi. Chi è stato Kuiper, ragazzi ?
Kuiper è stato innanzitutto l’unico atleta degli anni ’70, con Francesco Moser, a non aver mai avuto problemi con il doping: sia pure di quello veniale, e ampiamente con­donabile, di un’età che guar­dava con sospetto allo stesso modesto cortisone.
Attivo, Kuiper, come si di­rebbe nella Storia dell’Arte per i pittori fiammighi, dal 1973 al 1988, una cin­quan­ti­na di successi, quindici anni di strade senza scorciatoie, il suo curriculum resta una an­tologia magistrale di ci­cli­smo. E per ciò, senza sfog­gio, ci piace renderne di con­to.

Campione olimpionico a Monaco nel ’72, di­ven­tò poi campione del mondo professionisti ad Yvoir, in Belgio, nel 1975: unico nella storia, con Ercole Baldini, ad aver doppiato Olim­piadi e Mondiale su strada. E le sue qualità di atleta di fondo lo consa­cra­ro­no innanzitutto a cor­ri­do­re da corse a tappe: nella be­ne­amata Ti-Raleigh, prima, poi nella Peugeot e nella Daf-Trucks, Kuiper fu ca­pa­ce di ottenere due secondi posti (’77 e ’80) ed un quarto posto (’79), nei Tour de France corsi da protagonista. E nel ’78 solo una frattura della clavicola, l’unica della sua carriera, scendendo dal Col de Granier, gli impedì di in­serirsi nel duello al vertice fra Hinault e Zoetemelk. Ed è altresì emblematico che Kui­per, definito nel plotone il “Gentleman” o “il Pro­fes­sore”, per le sue qualità uma­ne, fu capace di portare a ter­mine ancora un Tour, dei dodici cui aveva preso par­te, nel 1988, l’ultima stagione da lui disputata: a 39 anni ampiamente com­piu­ti. E che non ebbe ancora nulla da re­clamare, da gen­tle­man appun­to, nei riguardi di Bernard Thevenet, quan­do lo stesso confessò che il Tour del ’77 lo aveva vinto solo grazie agli steroidi: con 48” di vantaggio su Kuiper...

Ma il piccolo Kui­per, kuiperino co­me lo chiamavamo al suo primo Giro d’Italia, corso nel ’73 nella Rokado di Van Vlierberghe e Van Roos­broeck, Karstens e Gilson, non fu solo l’atleta tenace capace di vincere due volte all’Alpe d'Huez (’77 e ’78), di difendersi o affermarsi sulle vette pirenaiche, di piaz­zarsi nelle crono, e an­che al Trofeo Baracchi, tre volte secondo, ma fu anche l’incredibile fi­nisseur, emer­so come intel­ligente ma­tu­razione tecnica di un cor­ridore con la vocazione per lo scatto, anche in salita, ma negato allo sprint. Ed ec­co il Kuiper capace così di vin­­cere il Fiandre e il Lom­bar­dia nell’81, in quest’ultimo caso avendo ragione dell’in­se­guimento di Argentin.
E ancor più, avanti ancora ne­gli anni ormai, di ag­giu­dicarsi la Roubaix dell’83 e la Sanremo dell’85.

Le immagini sovven­gono qui rapide, emo­zionanti, nitide. Ed è il Kuiper, disperato, che fora a pochi chilometri da Roubaix, solo al co­man­do, con Moser e Duclos Las­sal­le che lo gua­tano ad un mi­nuto: ed è an­cora lì, in foto­grafia nel fan­go, come un marmo greco, che invoca dagli spettatori e dai posteri una ruota: una ruo­ta, qual­sia­si, solo che sia tonda, e non bucata. Ed è il Kuiper, in maglia Veranda Lux, che sul Poggio perde qualche metro dal giovane luogo­te­nente Van Vliet e dal nostro promettente Riccò, Riccò Silvano. E poi li tra­fig­ge con un contropiede de­va­stante, appena approdati a San­re­mo.
A 36 anni. Uno dei vincitori meno giovani, ma più eterni, della Sanremo. Ed è anche grazie a Kuiper, il più olan­dese dei Moser, che siamo an­cora qui. A crederci non mi­gliori, certo, degli altri uomini di sport. Bravi nuo­ta­tori, celebri tennisti, accla­ma­ti cal­ciatori. Ma almeno mera­vi­gliosamente differenti.

P.S. A Kuiper, a quella sua Roubaix, per inciso, vissuta in competizione con l’altro grande vecchio Moser, di due anni però più giovane dell’olandese, Bruno Raschi dedicò il suo ultimo articolo. Lunedì 12 aprile 1983. Ed era un epinicio senza riprova e senza confronto.

Gian Paolo Porreca,
napoletano,
docente universitario
di chirurgia cardio-vascolare,
editorialista de “Il Mattino”
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