Scripta manent
Zavoli per il Giro e per l'Italia

di Gian Paolo Porreca

Quanta Italia (de­te­riore) c’è stata nella rappresentazione, che sarebbe apparsa solo grottesca, se non costituisse invece drammaticamente lo scenario non evitabile del nostro vivere quotidiano, della vicenda della elezione del Presidente del Co­mi­tato di vigilanza RAI!
Quanta Italia inaccettabile, di trasformismo e comodo, equivoci eloquenti, quanta Italia da stadio, di promesse elettorali rinnegate o ca­muffate, perfettamente con­facente a quegli obbligatori talk show senza esiti se non il travaglio finto del gioco delle parti, in questa baruffa dove tutto e tutti sono stati il contrario di tutto e tutti, all’interno di uno schieramento e dell’altro!

Già, consentiteci an­che da questa sede anomala di opi­nio­ne, sembra che Pd e Pdl siano stati in questo feuil­leton scritti ed interpretati sempre - alla resa dei conti - come in ragione di un er­rore tipografico, per un re­fuso come si diceva al tem­po dei dimafoni...
In una atmosfera plumbea che imporrebbe un no-contest o una espulsione totale bilateralmente, come in que­gli incontri di calcio do­ve la caccia all’arbitro resta la più naturale soluzione di ogni domenica e l’impro­perio rituale dal pome­rig­gio alla sera, che grande bel­la figura la discrezione mai ambigua, sempre equilibrata - socratica - di Ser­gio Zavoli.

Che bello, quest’uo­mo antico ed anti­camente giovane, quest’uomo che viene dal nostro (e suo) ciclismo, identificato da TUTTI al di sopra, e non ai margini, di una siffatta baraonda, dove gli altri sembrano con­cor­rere solo al gioco ruffiano dell’alzare il proprio prezzo di vendita. E di acquisto.
Quale sia stato l’esito di una nuova tribolazione ma­linconica della realtà socio-politica e civile del nostro paese, di questa “sceneggiata napoletana”, diritti di autore ad Antonio Di Pie­tro, quanta urgenza condivisa di un Sergio Zavoli a garante morale di uno stato e di questa sua opinione pubblica sempre più tele-dipendente, e come tale in debito della sua barra di orientamento, della sua voce forte, stentoreamente pacata.
Fuori, ma solo perchè mol­to più in alto, ripetiamo, del coro.

Lasciamo da parte l’ammirazione per­sonale, ed anche l’af­fetto, per Zavoli. Non è il tempo della agiografia, o di una superflua apologia. Ma ci sia consentito di ri­cor­dare pubblicamente, una volta ancora, in specie a chi è tanto più giovane di noi, il dibattito encomiabile, quel modo garbato e mai banale nè offensivo di fare giornalismo, che nella sta­gione del Processo alla tap­pa, prima ancora dell’esem­plare Tv7, Zavoli seppe creare nella televisione di stato. Quando quest’ultima non era ancora il parastato potentissimo, sinistro e perverso, se non deter­mi­nante, della nostra realtà. Già, quel “cauto guar­da­re”, proprio di uno Zavoli anche poeta.

Quanta voglia, an­cora, in questa po­litica da curva A - o B ? - , dagli spalti stracolmi di un Colosseo degno della decadenza latina, della se­renità maggiore, quella che proviene diritta dal fruscio delle nostre ruote senza motore, di Zavoli.

Ed è già confortante pensare, al pro­po­sito, come per il Giro del Centenario sia sta­to proprio lui prescelto, come noto, a Presidente del Comitato di Studio e di Ri­cerca su quel patrimonio di valori che il Giro ha co­stituito nella storia e nel co­stume italiano dal 1909 fino ad oggi. Anzi a domani.
Una antitesi aristocratica di unità e solidarietà nazionale, al cospetto dell’indecente clamore da condominio rissoso che ci flagella. E contro cui la lezione umana di Sergio Zavoli sembra stagliarsi con la ingualcibile austerità di una cattedrale romanica.

Gian Paolo Porreca,
napoletano,
docente universitario
di chirurgia cardio-vascolare,
editorialista de “Il Mattino”
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