Rasmussen, Vinokourov, Schumacher, Kohl, Riccò, Piepoli: madonna santissima che squadrone di fenomeni. Pensa averli tutti quanti assieme, con la stessa maglia, nella stessa corsa: vittorie da Dream team. Io avrei persino un’idea per i colori sociali della maglia: a strisce bianconere, che non significa Juve e non significa neppure Udinese. Significa Sing Sing e Alcatraz. Come no: è la nazionale dei dopati di seconda generazione. Quelli più colpevoli, quelli imperdonabili, quelli da ergastolo: perché nonostante tutto lo scatafascio dal caso Festina in poi, fino all’eclatante Operacion Puerto, sono riusciti comunque a ricominciare da capo. Come se niente fosse, trafficando alla Dracula in affari ematici. L’aggravante è aver definitivamente affossato la credibilità di uno sport che con tanta fatica cercava lentamente di riemergere dalle macerie. Poi dice che la radiazione sarebbe eccessiva e disumana. Ma per piacere, ancora c’è gente che fa del pietismo d’accatto. A forza di pietismi, così ci siamo ridotti: a non sapere neppure se la prossima volta saremo alle Olimpiadi. A non sapere neppure se le grandi televisioni trasmetteranno ancora le corse (i tedeschi, tanto per cominciare, anzi per finire, già hanno segato il Tour). Per tutto questo, sentitamente ringraziamo il nostro Dream team. I suoi campioni hanno fatto un gran lavoro. Un giorno i posteri racconteranno: Cera una volta il ciclismo. Senza apostrofo.
Ci resta qualcosa in mano? C’è un appiglio cui aggrapparci? Personalmente ci ho pensato a lungo e a fondo, ma non ne trovo molti. L’unico che davvero mi sembra adeguato ha un nome e un cognome precisi: Ivan Basso. Sì, proprio lui, fresco di pena espiata e di ritorno alle corse. Nel 2009, anno delicatissimo, le speranze del ciclismo dipenderanno moltissimo da lui. Parto da un presupposto che in tanti mi ricacceranno subito in gola, con una colonna sonora di sarcasmo e di ironie. Ma lo enuncio lo stesso, a costo di cadere ancora una volta nel trappolone del candore: parto dal presupposto che Basso sia tornato pulito. Davvero, sarò il premio Nobel dei babbei, ma non riesco proprio a pensare che Ivan, dopo tutto quanto gli è caduto addosso, commetta altre bischerate. Così fosse, io mi prenderei tranquillamente il Nobel dei babbei, ma a lui andrebbe quello molto più infamante dei farabutti professionali.
No, non ci credo. Non ci voglio credere. Preferisco credere che Basso, padre di famiglia, abbia imparato la durissima lezione. Se così è, il mio presupposto tiene: Basso torna e torna pulito. Ecco allora la grande occasione: se per ipotesi il Basso che torna, pulitissimo e immacolato, ancora è capace di vincere un Giro d’Italia, allora tutto può cambiare. Allora, come per incantesimo, il ciclismo può legittimamente rialzare la testa e finalmente dimostrare che sì, è possibile fare il campione anche senza le siringhe in vena. Una grossa novità, una scoperta sensazionale, per l’opinione ormai comune che circola nelle case e nelle famiglie, quella generica e purtroppo più volte confermata opinione secondo la quale il ciclismo è sport di drogati, e senza doping non è possibile arrivare nei primi cinque dei grandi giri.
Mi rendo conto che addossare a Basso questa enorme responsabilità di salvatore della patria, dopo averne fatto per due anni il capro espiatorio, è chiedergli moltissimo. Sono certo però che preferisca questo nuovo peso al precedente. Scommetto che s’inventerà di tutto, in senso buono, per farmi contento. Per fare contenti quelli che aspettano con ansia la dimostrazione pratica, su strada, a suon di risultati, di un’idea che al momento sembra purtroppo romantica utopia: entrare nel mito senza poderose spinte mediche.
Ce la farà, il nuovo Basso? Se ce la farà, quando ce la farà, quello sarà un giorno radioso. Già mi sembra di gustarlo: con molta calma, con un immane senso di sollievo, sarà finalmente possibile prendere per le orecchie, ad uno ad uno, gli spudorati fenomeni del Dream team, mettendoli in fila proprio di fianco agli altri spudorati saccenti di tanti sport immacolati, i teorici del “doping non serve alla scherma, al calcio, al nuoto, allo sci, al tennis, eccetera, eccetera, eccetera”. Quel giorno non dovranno più parlare. Dovranno solo ascoltare. Quel giorno, finalmente, sarà un piacere e una liberazione esprimere poche, decise, definitive parole, quelle che avremmo sempre voluto dire e non abbiamo mai potuto dire: sì, si può fare ciclismo senza doping. A tutti voi sembra impossibile, ma è così. Si può fare ciclismo senza doping. C’è qui un tizio che ve l’ha dimostrato.
Per tutto questo, mi metto in posizione d’attesa e aspetto con ansia che arrivi maggio. Nel frattempo, inseguendo il grande sogno, l’ultimo che mi resta, gli rivolgo il più sincero bentornato e fortissimamente grido forza Basso. Mai come stavolta, sei tutti noi.
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