Sono passati dieci anni, non solo dalla vittoria di Marco Pantani al Tour, ma anche dallo scandalo Festina, che di quel Tour, dal quale ci sembrarono per una cocente illusione espulsi i “cattivi” e Pantani l’angelo invocato dal Signore, rappresentò il contraltare.
E forse qualcosa di molto più importante, per il divenire tribolato degli anni successivi del ciclismo.
Sono passati dieci anni, e certamente si è articolata nell’ambiente
una consapevolezza diversa. Sia essa autocoscienza del problema, prima che non convinta autocritica; o si tratti solo di un cinismo sagace nello svolgere in maniera presentabile, se non plausibile, quella che è a tutti gli effetti una “professione”, e non una attività agonistica di taglio ludico. Con quanto di dovere, ed ancor più di diritto, con il ruolo soverchio degli avvocati, ad esso compete.
Ma ci sembra ancora tremendamente lontano, di fronte alle contraddizioni espresse dalle parti in gioco - Organizzazioni, Squadre, Corridori, Federazioni Nazionali, UCI, per ultima, et pour cause, perché non è sempre elegante sparare per principio al bersaglio grosso - quel punto di arrivo ambito che è lo schierare al via di una corsa, sia un grande Giro o il circuito di Poillena, atleti dotati TUTTI della stessa credibilità. Tutti con la stessa griglia di controlli eseguiti, si chiamino passaporti o passe-partout, tutti avallati in base ad uno stesso criterio di giudizio, che sia etico e medico-biologico, o meglio ancora esito armonico dei due principi.
E’evidente che il bene del ciclismo, a meno che il CICLISMO non vada più che bene a tutti già così, ma questo sarebbe motivo di ben altra scrittura, esige questo tipo di trasparenza e il rispetto di siffatte unanimi regole di ingaggio.
Che ad un grande Giro, o al circuito di Pollena, TUTTI gli invitati dagli Organizzatori, o gli iscritti di diritto se in ambito UCI-Pro Tour, abbiano onorato gli stessi protocolli sanitari e rispettato le clausole sociali ed economiche che sono alle base di ogni ordinamento sportivo che si rispetti, questo è dovuto, nell’anno solare 2008. Perché sia, ripetiamo, CREDIBILE. E non espressione ennesima di un ciclismo a due, o più velocità, tarate in base a differenti griglie di obblighi, che possono diventare - alla verifica oggettiva della strada - da un lato un boomerang agonistico, dall’altro una indebita scorciatoia per eclatanti vittorie.
Ed in questo contesto, a dieci anni dalla tormenta Festina, e dalla bagarre intorno all’Epo e agli ematocriti da sballo ad essa drammaticamente collegata, va sottolineata una ennesima frontiera della farmacologia applicata al ciclismo, sul versante doping.
Parliamo degli ultimi studi apparsi su riviste scientifiche internazionali della utilità dimostrata, per gli impegni atletici in alta quota, dal celebre Viagra.
In parallelo curioso al sequestro nell’auto di un direttore sportivo di squadre dilettantistiche, a bordo della quale si trovava anche il padre di Andrea Moletta, il corridore italiano della Gerolsteiner, di una scorta invero pesante - 82 confezioni... - del Viagra stesso. Quel “benedetto” Viagra, il sildenafil della farmacologia, abitualmente utilizzato nella disfunzione erettile, come ben noto, tanto da essere assurto ad una sorta di irrinunciabile presidio della prestazione, ad onta dell’implicito e ben noto di rischio di accidente cardiovascolare, per il sesso maschile di età avanzata e pretese maggiori.
Bene, il Viagra, secondo uno studio pubblicato da The Journal of Applied Physiology è in grado di determinare un significativo miglioramento, per i ciclisti, nell’attività sportiva svolta in altura. Un incremento della prestazione quantizzabile, secondo gli scienziati statunitensi, intorno al 15 % della performance: un bel bonus, da giocarsi sul Mortirolo o sull’Izoard... !
E sulla base di queste acquisizioni, la WADA ha iniziato una operazione di monitoraggio precauzionale sul Viagra stesso, sottolineando peraltro come attualmente esso non sia ancora stato inserito nella lista dei prodotti vietati, ad effetto dopante. Miracoloso, dunque, anche al fuori della camera da letto, il Viagra si staglia in ogni modo - simbolicamente - come l’ultimo baluardo del doping mai vinto. E questo ci lascia paradossalmente soddisfatti, noi appassionati naviganti di questo sport, per la naturale considerazione, stando alle affermazioni dei fisiologi statunitensi, che il nostro buon ciclismo, già alle prese con tanti problemi di credibilità, almeno il Viagra non lo utilizzerebbe per inattesi problemi di erezione.
Gian Paolo Porreca,
napoletano, docente universitario
di chirurgia cardio-vascolare,
editorialista de “Il Mattino”
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