Ci mancano, nel ciclismo contemporaneo, storie come queste, che tornano di attualità, per una pagina ancora, grazie alla magia razionale dei numeri. Una ricorrenza, un compleanno...
Ci mancano, al tempo di un nuovo Giro d’Italia che si profila all’orizzonte, storie come quella intessuta a doppio filo di Felice Gimondi e Johann De Muynck: quelle due vittorie - e una sconfitta sola, invece - per loro, nel Giro del ’76 ed in quello del ’78.
Ci manca, in questa stagione che fa del Codice Etico un malinteso argomento di conversazione, e non di conservazione, del ciclismo, quel Gimondi che conquista con la maglia della Bianchi, a 34 anni quasi, il suo terzo ed ultimo Giro.
E lo vince, nel ’76, per 19 secondi soli, scalzando nella frazione a cronometro conclusiva, il Circuito della Brianza di Arcore, quell’avversario belga sortito all’improvviso - De Muynck - diventato capitano strada facendo della Brooklyn di De Vlaeminck e De Witte, i due Roger, che pure lo avevano lasciato tremendamente “solo” negli ultimi giorni della corsa. Quel De Muynck, in maglia rosa, ancora quel mattino. Ma in un rosa tinto di mercurocromo però, fuori e dentro di sè, con l’amarezza sospetta di un tradimento e il dolore sicuro che gli arrecavano le ferite prodotte dalla rovinosa caduta subìta nella discesa dello Zambla, nella tappa precedente, quella che guarda caso proprio a Bergamo si era conclusa: con la eclatante vittoria allo sprint di Felice Gimondi, giusto a casa sua, e che goduria di sprint, davanti nientepopodimenoche a Eddy Merckx...
E i 25 secondi da recuperare su De Muynck, al mattino del 12 giugno, sarebbero diventati per Gimondi, in una giornata di apoteosi, un obolo da dedicare alla impresa più bella della sua vita. E per il corridore belga, all’inverso, i 19 secondi di divario dopo la crono di Arcore, sembravano una beffa ulteriormente atroce del destino, così crudele di fronte ad un atleta scampato alla morte dopo una frattura del cranio, nel Giro del Nord del ’72.
Ricordiamo il Processo alla Tappa, di quel pomeriggio, il bianco e nero ed i visi di quegli atleti esemplari. La felicità equilibrata di Gimondi, in un tripudio meritato di folla, a contrasto con la delusione silenziosa di De Muynck. E rammentiamo, ad emblema di una etica sobria che nel ciclismo non ha bisogno di codici, ma solo di coscienze, la carezza di Bruno Raschi sulle spalle di De Muynck. E le sue parole affettuose: «coraggio, ragazzo, sarà per un altro anno».
De Muynck, che festeggia sessanta anni il 30 maggio, un atleta taciturno, ombroso, ci dicono che vada ancora in bici da solo, forse ad inseguire i connazionali che non gli furono mai troppo amici, avrebbe vinto infatti il Giro del 1978, grazie ad un attacco geniale sul Monte Serra, alla terza tappa della corsa. E gareggiando nella squadra, guarda caso, la Bianchi, di Felice Gimondi. E con lo stesso a fargli da nocchiero convinto in corsa. Quel Gimondi che non l’aveva mica attaccato, bensì l’aveva invece cavallerescamente atteso, un belga in rosa lacero e dolente, in quel sabato stupendo di Bergamo, foriero del suo successo inatteso al Giro del ’76.
E di una carezza nel pomeriggio, di quelle che solo il ciclismo del gran cuore sa donare, che di certo De Muynck, oltre trenta anni dopo, conserverà intatta nel suo sentimento ancora.
Gian Paolo Porreca,
napoletano,docente universitario
di chirurgia cardio-vascolare,
editorialista de “Il Mattino”
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