Cosa devi, cosa puoi rispondere quando dici che ami il ciclismo, ne parli bene e ti rinfacciano che è sport di drogati, ben che vada di dopati? Personalmente mi trovo sempre più in questa situazione, un po’ per il mestiere che faccio, un po’ perché il doping è materia sulla quale ognuno trova facile pontificare, riuscendo con poca spesa di se stesso a sentirsi moralista e a farsi conoscere come tale. Paradossalmente (o forse no, in questi tempi di paradosso come regola) accade che uno meno ne sa (e di solito sa poco, di doping e di ciclismo e di tutto) e più idiozie dice, più si fa ascoltare e meglio colpisce l’uditorio, perché espone i suoi pensieri sbagliati in maniera solenne, onde ammantarli di qualcosa visto che non sa e non può vestirli di informazione o di cultura: e siccome non è che di norma costui parli a severi precisi scienziati o a profondi filosofi o a informati sociologi o a veri conoscitori dello sport o semplicemente a persone colte e perciò non aduse ai processi sommari, ma al massimo si trovi di fronte un giornalista sportivo, cioè un paria della nuova società di tuttologhi gaglioffi, ecco che gli viene facile raccogliere l’applauso.
Prima di spartire con chi ha la pazienza di leggerci le nostre regole comportamentali, segnaliamo una trappola in cui il ciclofilo deve evitare di cadere: quella di chi, pensando di fare una concessione straliberale che intanto dica della sua ampiezza e duttilità mentale, premette che lui capisce che il ciclismo ha certe esigenze e che in fondo chi fa in bicicletta un Giro d’Italia o un Tour de France ha quasi il diritto di aiutarsi chimicamente, e pazienza se al limite dell’illegalità e magari oltre i confini del rischio, per fare fronte a fatiche che sono uniche, per di più con esposizione balorda, lunga e assai ricorrente alle avversità atmosferiche.
A questa premessa si può opporre che anche la pratica di altri sport come la maratona o nei giochi di squadra come la pallanuoto (ma ce ne sono altri, e qualcuno si stupirà apprendendo che il concorso completo di equitazione chiede non solo ai cavalli, ma anche e soprattutto ai cavalieri un dispendio immane di energie, una frequentazione spietata del fachirismo fisico), potrebbero godere di questa indulgenza aprioristica, e non solo non la chiedono, ma sono da essa esentati nei farisaici discorsi dei moralisti da poche lire, da pochi centesimi di euro.
Poi si deve secondo me enunciare un principio forte, guerriero, che è questo: gli altri sport, e su tutti il calcio, non patiscono se non in misura tutto sommato ancora leggera il sospetto del doping per la semplicissima ragione che in questi stessi sport non c’è l’antidoping, o comunque non c’è un antidoping serio, costante, attento, eguale per tutti. Direi che soltanto l’atletica leggera può vantare (essì) un antidoping efficiente, una giustizia dura e decisa, e può portare casi di condanna e di espiazione come fiori all’occhiello di tutto il suo mondo. E sta facendo buone pulizie lo sci di fondo.
Poi si deve chiedere a chi parla, a chi sentenzia, se ha chiaro il concetto di doping. Facile denudarlo, spelarlo, scuoiarlo. In linea di massima, parla molto di doping chi non ne sa nulla, e neanche distingue fra doping e droga. Se gli si pongono alcune domandine precise, crolla. Per esempio, sa cosa sono i betabloccanti, il doping al contrario? Sa come sono, cioè come non sono, i controlli nel calcio, nel tennis, nella Formula 1? Sa come e quanto ormai la cocaina è entrata nel mondo dello sport, specie di quello ricco? Ovviamente il ciclismo ha le sue colpe, e quindi non bisogna essere suoi eccessivi e ciechi paladini. Però pensiamo che bastino questi pochi punti che abbiamo elencato per dare una piega diversa alla discussione, se c’è, o comunque all’intervento di chi pontifica.
Poi bisogna chiarire al sentenziatore che ci sono almeno due tipi di doping: quello indirizzato alla prestazione, quello cioè che una volta era la pasticca di simpamina, la goccia di efedrina, la polvere di amfetamina, o anche la frustata dovuta all’immissione nell’organismo di globuli rossi, e quello indirizzato alla costruzione dell’atleta, quello in parole povere anabolico. Il primo è il doping di una occasione, il secondo implica una “terapia” di mesi e non di anni. Il primo è scopribile abbastanza facilmente, il secondo necessita di tecniche sofisticate, di attenzioni continue, di controlli costanti. Tanto per dire: il mondo del calcio di club più volte ha sostenuto che il giocatore Taldeitali è stato scoperto dopato al controllo della domenica di campionato perché il mercoledì aveva giocato nella Nazionale del suo paese, e in quell’occasione lo avevano “inquinato”. Lo ha detto ed è stato creduto. Ma sono balle spaziali: nella Nazionale del suo paese al massimo gli possono avere dato il doping da prestazione, e questo sparisce dall’organismo in poche ore. Se è stato scoperto dopato, e lo è stato per ragioni di doping anabolico, si tratta del suo “rispetto” di un programma lungo, a cura evidentemente dei suoi datori primari di lavoro, dunque del suo club, e di un controllo finalmente efficace, o addirittura finalmente eseguito davvero..
C’è poi pure il caso dell’assoluzione della Juventus nel processo per doping, caso molto usato da quelli che vogliono regalare e se del caso costruire al calcio una continua verginità. A parte il fatto che ci sono stati anche patteggiamenti e prescrizioni, cioè ammissioni e cavilli legali, si deve dire che l’accusa, provata ma ininfluente, è stata quella di abuso di medicinali leciti, somministrati in dosi da elefanti. Qui si entra casomai nel campo della tutela della salute del lavoratore, non certo del doping come viene comunemente inteso.
Per finire (finire provvisoriamente un discorso che non finisce mai): il ciclismo frequenta(va) molto il doping, anche noi lo sappiamo, adesso frequenta soprattutto l’antidoping e loro, i censori disinvolti, non lo sanno. Il ciclismo si punisce a costo di mutilarsi, e fra pochi anni, se insisterà, nel rapporto con il doping, a fare e il resto dello sport, quasi tutto il resto, a non fare, sarà il ciclismo stesso a lasciare i Giochi olimpici o comunque certe ribalte sportive molto illuminate e redditizie, perché saranno troppo inquinati dai loro abitatori. Tifosi, fans, adepti, patiti, spettatori compresi.
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