Per gentile concessione della casa editrice Ediciclo, anticipiamo l’arrivo a Napoli tratto da “Quel Giro del ’900”, il libro ideato e curato da Gianni Rossi, in uscita a fine mese, che raccoglierà le tappe letterarie di un Giro della fantasia, dove gareggeranno incredibilmente ciclisti antichi e recenti, ancora sui pedali senza l’obbligo dell’essere fra noi.
Non sappiamo affatto quanti ragazzini di questa amata città di mare - Napoli - che ci ha accolto con un cielo pallido di scirocco, un vento insinuante e perfido, si chiameranno nei prossimi giorni, giocando a fare i campioni, con il nome d’arte di Gerben... Ma di certo Gerben Karstens, il velocista olandese dagli eleganti modi borghesi e dall’ironia letteraria sullo sport e sulla vita, lui rampollo in qualche modo non ortodosso di un ricco notaio di Leida, sprinter non simile ai possenti Van Steenbergen e Cipollini, e neanche a Petacchi o Van Looy, si è aggiudicato oggi sulla estenuante pista in cemento dell’Arenaccia una tappa del Giro incredibilmente palpitante, meritevole di un vivido ricordo, sfrecciando primo sul traguardo con il braccio destro levato in alto. E con la incontenibile felicità di un ex-ragazzo - beato lui... - sovrano di Napoli e del Giro almeno per un giorno.
E sia pure in debito di sole, abbiamo vissuto in una giornata feriale che sapeva di festa patronale una frazione del Giro splendida. Ben lontana dalla marcia di trasferimento che si paventava, dal Lazio alla Campania, sulle morbide cadenze di una lunga passeggiata parallela alla costa del Tirreno...
…Il momento culminante della corsa si viveva nella ascesa da Sessa Aurunca verso Roccamonfina e il suo vulcano, una salita tra i castagni e i faggi, dalle pendenze non impossibili ma imprevedibili. Ed era lì, prima di Ponte, due vecchine ad intrecciare canestri nuovi e sospiri antichi, un bar acceso di applausi, la doppia giravolta secca, che lo svizzero Oskar Camenzind, bene o male un campione del mondo, con l’appoggio del tedesco Hans Junkermann, un altro fondista, lanciava la sfida: pronti a rispondere due attaccanti per vocazione, come l’irlandese Seamus Elliott e l’italiano Davide Cassani. E a seguire un tandem di qualità, l’italiano Livio Trapè, medaglia di argento alle Olimpiadi di Roma, e l’olandese Gerben Karstens, uno sprinter di rango, primo nella Parigi-Tours del ’65, che non ha mai radicalmente detestato le scalate, «passai in testa sul Col de Aspin, al Tour, lo ricordi?».
…E certo, Camenzind e Junkermann devono tuttora recitare il mea culpa, alla luce di quello che sarebbe stato l’esito finale della giornata, ma erano proprio le loro tirate wagneriane in pianura a consentire alla fuga di non cedere mai: perdere sì, a decine scarse, i secondi, ma non regalarli mai a prezzi di sconto al gruppo degli inseguitori, dove Museeuw e Brankart si prodigavano con giudizio per Van Steenbergen, mentre Cipolllini, Petacchi e Poblet non perdevano di vista, senza degnarlo però di collaborazione alcuna, quell’imponente imperatore belga in maglia rosa. Ma chi avrebbe mai scommesso un centesimo del nuovo o dell’antico conio, nonostante le indicazioni iconografiche della Guida al Giro, su un esito felice della fuga?... L’avrebbe fatto solo Vincenzo Torriani, il geniale disegnatore del Giro, conoscitore antico dell’hinterland partenopeo, che si era incredibilmente ricordato nella sua stesura della esistenza di un declivio anomalo, sulla destra della strada principale che tira diritta verso l’Arenaccia. Parliamo delle ampie volute in pavè di via Santa Maria del Pianto, zona del Cimitero, due chilometri di falsopiano inatteso che avrebbero consentito l’exploit teatrale - uno sberleffo ammiccante alla Totò, più che alla De Filippo - della corsa! Procediamo però con ordine, per l’onore dovuto agli attori di un finale da thriller...
A cinque chilometri dall’arrivo, un tentativo di contropiede di Cottur, Anglade e Cancellara, aveva infatti ulteriormente ridotto il vantaggio dei sei attaccanti: 15 secondi a malapena, con il mulinare frenetico dei lunghi rapporti. Giunti ad Arpino, ultima sobborgo prima del cartello topografico NAPOLI, Camenzind, Junkermann e Trapè si rialzavano, domati....
Ma Seamus Elliott, profittando di un attimo di rimescolamento del gruppo inseguitore e del buio complice di un breve tunnel che induceva i più ad un naturale prudente rallentamento, rilanciava l’azione di testa: portandosi dietro, sulla curva secca che introduceva la salita di Santa Maria del Pianto, il giovane Davide Cassani, primo in un Giro della Campania, e un attimo dopo, rapace per intuizione come un falco predatore, Gerben Karstens. Dall’oscurità era sortita una deflagrazione pirotecnica fuori programma. E la corsa era segnata lì: il passo lungo di Elliott e l’entusiasmo di Cassani, sotto lo sguardo lucido di Gerben Karstens, scavavano un lieve, irrecuperabile abisso, mascherato dalle curve tra i platani sereni della strada in pavè, quella Santa Maria del Pianto: o della gioia futura, per uno solo almeno. E neanche la susseguente discesa veloce della Doganella poteva consentire un ricongiungimento. I secondi, una quindicina, andavano via come petali ma erano ancora dieci, all’ingresso dei tre battistrada sul velodromo dell’Arenaccia, un lungo tragitto verso la gloria per Karstens e una delusione aspra per Elliott e per Cassani, il primo a lanciare lo sprint, sul rettilineo opposto alle tribune, ma facilmente scavalcato all’ultima curva dal veltro olandese. E Karstens diventava sul podio un beniamino sorridente. Lui, dopo quel Ruud Krol idolo del calcio, che sulle mura avevamo visto ancora celebrato, su azzurri sbiaditi graffiti: “Krol imperatore di Napoli”. Fino ad ieri, e nuovamente da domani in poi, se sulle pareti di questa città e nei suoi libri di amori pure intensi nessuno provvederà ad iscrivere il nome fatale di Gerben.
Gian Paolo Porreca,
napoletano, docente universitario
di chirurgia cardio-vascolare,
editorialista de “Il Mattino”
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