Scrivendo un libro sul ciclismo del Giro d’Italia,o meglio sull’Italia del Giro (magari se ne riparlerà su tuttoBICI, in questa rubrica o dove il direttore vorrà) e facendo la cernita delle fotografie, mi sono accorto di come e quanto io snobbo tanti aspetti dello sport e della bicicletta che pure sono di grosso e facile, immediato interesse per un profano. Un esempio: la fotografia dell’appassionato (un tedesco, si dice ormai da noi) che si traveste da diavolo e si esibisce in enormi balzi guerrieri, con tanto di forcone, al passaggio dei pedalatori che lui aspetta sulle grandi salite della corsa rosa come di quella gialla, cattura assai l’attenzione, crea grossa curiosità, e quasi sempre chi la vede vuole sapere il come, il quando di quell’immagine. Che per me, dopo decine e decine di epifanie di questo diavolo sulle strade, non è più niente, al massimo è routine.
Tutto il Giro d’Italia, tutto il ciclismo è anche sciupìo giornalistico di preziose interessanti annotazioni rivolte ai profani. È già occorso di scriverlo, anche su queste colonne, ma è bene ogni tanto riscriverlo, anche perché cambiano i lettori, almeno si spera, e anche perché si rischia di fare brutta figura di fronte al collega neofita che arriva e che, grazie al suo non sapere, scopre e racconta con successo cose che tu sai e che però non ritieni più di dover partecipare, appunto perché appartenenti ad uno tuo stanco déjà-vu. Proprio al Giro ultimo, in occasione della cronoscalata ad Oropa, ho raccontato a richiesta, la sera a cena con parenti e amici in quel di Biella, la città di mio padre, cose che non pensavo più di dover disseppellire dalla mia cosiddetta esperienza: l’esistenza al Giro di una sala stampa bene attrezzata, ma guarda un po’, la radio di bordo che però quando ci sono le frazioni a cronometro non è in funzione perché non c’è da raccontare il procedere del gruppo, l’azione dei guastatori di giornata. Credevo di dire cose risapute, invece erano notizie bevute con tanta voglia, tanta partecipazione, tanto ammirato rispetto per l’organizzazione. Sapere che il Giro d’Italia, così come il Tour de France, fa nascere ogni mattina un villaggio di partenza dove si può rosicchiare un pezzo di parmigiano, prendere un caffè, avere un giornale fresco e soprattutto parlare della corsa con gli addetti, è ad esempio fonte di grande positivo stupore. Così come il sapere che una volta il villaggio non c’era, c’era un semplice raduno in un posto transennato, e magari si scroccava un panino al corridore che non sapeva più come fare stare tutto il cibo nella sacca del rifornimento.
Molto probabilmente il ciclismo farebbe un grosso guadagno di immagine se rispettasse il proprio museo teorico, ideale delle cose-che-ai-giornalisti-appaiono-ovvie, e lo propagandasse. Nel calcio è oggetto di affettuoso interesse il sapere che i calciatori nell’intervallo sono mandati dall’arbitro nello spogliatoio a prendere, come dice un bravissimo telecronista, “un buon tè caldo” (freddo se d’estate). Cosa ovvia, però fa piacere saperla, ogni volta saperlo. Mentre il liquore che il primo teleradiocronista offrì una volta a se stesso al termine di un intirizzito primo tempo (Nicolò Carosio: “E adesso andiamo a berci un bel whiskaccio”) non ebbe grossa fortuna, non fu ripetuto, diceva di un privilegio individuale, di natura poi alcolica, e non di un rito collettivo. Il profano del ciclismo non si emoziona al sapere che un ciclista fa la pipì in corsa, ma sapere che la fanno tutti, e che ci sono momenti della tappa adibiti a questo mingere comune, lo diverte, lo interessa.
Vogliamo – chi scrive e chi legge – arrivare all’elogio della banalità? Forse sì, e comunque: perché no? La banalità sana, generante sincero stupore amico, croccante di semplicità, non ci pare peccato, neanche veniale. Forse è il tempo per i ciclisti di radiotelevisivamente tornare al “ciao mamma”, se necessario anche al “ciao mama” con una emme sola, da non frequentatore delle doppie, dunque da tipico gregario veneto. Le due paroline potrebbero diventare una sorta di tormentone, trovare un altro Quartetto Cetra che ci fa una canzone (ma quella di Savona-Mannucci-Giacobetti-Chiusano sembrava dedicata soprattutto al calcio: “Ciao mama, il commissario tecnico mi chiama”, nel ciclismo la dizione commissario tecnico è usata soltanto da pochi anni, Binda al Tour era casomai il direttore tecnico di Bartali e Coppi), insomma sfondare.
Proprio perché ormai troppo sofisticato, lo sport, tutto lo sport, deve coltivare il naif, le nugae (bagatelle, dal latino) di cui parlava Giovanni Pascoli. Persino quelle non barche che sono le concorrenti della Coppa America reperiscono simpatia non quando vengono sciorinati i loro costi o viene illuminato il loro alone di mondanità, ma quando si fanno vedere i forzutacci dell’equipaggio intenti a girare il più velocemente possibile certi “cosi” che si presume facciano alzare le vele. E ormai nella Formula 1 interessa sapere se il pilota durante il Gran Premio si fa la pipì addosso che non conoscere la sequenzialità del suo cambio elettronico o l’infinita potenza del suo motore.
Il ciclismo ha secondo noi tante armi da parte che non usa mai, magari per pudore, magari per timore della propria semplicità, e stupisce lo stupore di chi pensava ad un Giro d’Italia massacrato dal doping e perciò senza pubblico, o con pubblico critico, invece si è goduto le muraglie umane grandi e semplici e festanti dello Zoncolan.
hhhhhhhhhhhh
Divagazione partendo comunque dalle righe qui sopra. Si pensi a calciatori con l’auricolare, all’immane menata di torrone che avrebbe accompagnato la sensazionale novità, agli articoli appositi, alle trasmissioni apposite, alla caccia delle parole che viaggiano nell’etere. Il ciclismo si è tecnologicamente portato assai avanti, anche con gli auricolari, e tutto è avvenuto con suprema disinvoltura, e senza nessuno sfruttamento della cosa a fini pubblicitari o comunque mediatici.
Niente di grave. Chiaro che non siamo contro il progresso, e che se un ciclista è messo in condizione di sapere bene come vanno le cose nei posti della corsa lontani dal suo si tratta di cosa buona e giusta. Però siamo anche affezionati all’immagine, col suo sound umano, del direttore tecnico che sull’auto scoperta urla i suoi comandi, i suoi consigli al corridore, al massimo usando un megafono. E siamo certi che se ne interesserebbero anche i nostri parenti e amici di Biella, ovviamente dopo essersi interessati all’auricolare.
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