Non riesce spontaneo dare torto alla autorevole ARD, la prima rete televisiva pubblica tedesca, che ha deciso di non trasmettere più il ciclismo in genere, e più esplicitamente il «suo» Giro, il Giro della Germania: troppo doping, nel ciclismo, una miriade di
sospetti nell’ambiente, e di conseguenza una pubblicità totalmente negativa, sul piano etico, per i giovani... E di certo la Germania sportiva sta patendo in maniera esasperata l’ascesa rutilante e la caduta irresistibile del suo divo Jan Ullrich, travolto dall’Operacion Puerto e tuttora alle prese con una paradossale scelta di nazionalità, almeno sportiva, oltre che fiscale: non tedesca, tantomeno svizzera, forse austriaca, o meglio in qualsivoglia Bengodi del globo dove dimori ancora una carenza di giurisprudenza sulla querelle doping.
E così impone, purtroppo, una riserva prudente di giudizio la verifica del futuro di Basso, dopo il via libero - «fatti salvi sviluppi nuovi» - concesso al vincitore dell’ultimo Giro d’Italia dalla Procura Antidoping del Coni e la chance conseguente di una ripresa agonistica a pieno titolo nel 2007: ma non più, come si sa, in quella CSC di Bjarne Riis, che recitava - il ruolo odioso di capoclasse? - l’esigenza ambigua di una imbiancata di credibilità, sul versante del Codice Etico del circuito Pro Tour. Per non citare, poi, la provocazione recente del probabile ritorno alle competizione di Tyler Hamilton, dopo aver scontato le sue colpe per autoemotrasfusione. Ed in un team italiano, tanto per raddoppiare il godimento.
Ma in questo attuale ciclismo degli esuli pensieri, o dei dubbi perpetui, e per noi superflui, si staglia per fortuna quel nuovo parafulmine mondiale, che è Paolo Bettini. Anche la Ferrari nel garage e la residenza a Montecarlo gli perdoniamo, a Bettini, per quel suo Mondiale, quel successivo Lombardia tanto commovente e l’ulteriore vittoria - il 22 ottobre - a Valencia, per il criterium in onore di Giovanni Lombardi... Ed ancor più per quel valore aggiunto di encomiabile continuità che riesce a dare alla sua interpretazione di corridore ciclista. Per buona sorte, e non dimenticando Zabel ovviamente, c’è dunque Bettini, a fronte di un Cunego metastasiano e di un Di Luca esaurito, di un Floyd Landis o di un Roberto Heras, che ci ricorda come un ciclista campione su strada, quando completo, possa correre anche di inverno.
E così si è programmato le sue due brave Sei Giorni, prima a Grenoble a fine ottobre, poi a Zurigo, dal 9 novembre: tutte e due le volte, ed anche questo va apprezzato, in coppia con Marco Villa, 37 anni e 20 vittorie, quell’ultimo dei nostri rimasto a masticare pista, quasi un superstite dal diluvio, che aspetta ormai di passare il testimone.
Non c’è nessuno in tribuna a pretendere che Bettini vada a vincere pure sul parquet, ai ritmi frenetici del velodromo. Bettini non ha insiti quei cromosomi della pista che avevano un tempo Saronni e Moser, d’accordo, forse ha di meglio. Ma senza dubbio alcuno, tutti gli dovranno invece tributare un massimo titolo di merito per l’esempio offerto ai giovani di tenuta agonistica, spirito di sacrificio e passione autentica, che rappresentano le virtù cardinali di uno sport di elementare fatica - come il ciclismo - che dei fuochi fatui e degli atleti che vincevano e/o
vincono una sola corsa l’anno vorrebbe fare una volta per tutte a meno.
Gian Paolo Porreca, napoletano,
docente universitario di chirurgia cardio-vascolare,
editorialista de “Il Mattino”
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