Ho letto un bel libro, scritto da Paolo Facchinetti: «L’apocalisse sul Bondone». Un libro documento che ricostruisce quella giornata dell’8 giugno del 1956, passata agli annali del ciclismo come una delle giornate più epiche della storia del nostro sport. Vittoria di Gaul, in mezzo alla tormenta. Un libro che però dice anche altre cose, ed è per questo che ve ne parlo. Dice ad esempio che quel giorno la tappa doveva essere annullata, perché in bicicletta lassù in cima ci arrivarono solo e soltanto tre corridori: Gaul, Fantini e Magni. Gli altri quaranta, chi più chi meno, fecero ricorso a pulmini, ammiraglie e quant’altro, per riscaldarsi, rifocillarsi e tagliare gran parte del percorso prima di rimettersi in sella ai piedi del Bondone e terminare la corsa. In questo libro ci sono le testimonianze dei 43 temerari capaci di chiudere la corsa e dei 44 che la abbandonarono. Sono in molti a ricordare e a dire «che quel giorno lì solo Gaul è arrivato con i propri mezzi. Ho visto gente che si era ritirata e che era già davanti all’albergo e poi l’ho ritrovata nell’ordine di arrivo» (Gianni Farlenghi); «…sono scesi dal camion e sono saliti in sella. Anche nomi grossi. E so anche che i corridori che avevano l’albergo a Trento, sotto il Bondone, dopo essersi ritirati si sono fatti la doccia, si sono cambiati e li hanno rimessi in sella» (Nino Defilippis).
E con questo? direte voi. Con questo per dire che sarà anche stata una tappa eroica, ma questo ciclismo è semplicemente imbarazzante, perché fasullo. Sarà anche carico di storia e retorica ma è anche un ciclismo pieno di menzogne. Lo dice bene Gatti nel suo spazio, sempre là in fondo a sinistra, dove parla di giornalismo epico e romantico: un tempo la storia veniva riscritta, oggi la si deve scrivere. C’è poco spazio per i voli pindarici, la realtà - seppur soggettiva - è lì che incombe e ci attende. Oggi un Bondone sarebbe stato raccontato come andava raccontato quel giorno di cinquant’anni fa: una tappa tremenda, che andava annullata e che è stata corsa da soli tre corridori. Gli unici che di colpe non ne hanno.
Rimango in argomento, e proseguo il mio ragionamento sul ciclismo di un tempo, sulle corse di ieri - e non solo quelle -, che erano meglio di quelle di oggi. Vi invito a leggere l’intervista che Bibi Ajraghi ha fatto a Renzo Bellaria, storico motociclista di radioinformazione che al suo attivo ha trentatrè Giri d’Italia. Nei suoi ricordi dice senza tanti giri di parole che oggi le corse sono più severe e dure. I chilometraggi saranno inferiori, ma oggi si corre. Fino agli anni Ottanta, invece, i primi cento-centocinquanta chilometri di corsa erano semplicemente una lunga “libera ricreazione”, dove ognuno faceva quello che gli pareva. Insomma, anche Bellaria, come il bravo e scrupoloso Paolo Facchinetti, toglie con grande onestà intellettuale quella patina di gloria e retorica che tutto rende bello, eroico e fantastico. Ma fa anche di più: dice a chiare lettere che oggi i ragazzi si fanno un fondo così e non sono propriamente delle mammolette. Insomma, le corse di oggi sono molto più vere e credibili di come spesso vengono raccontate e descritte. Per questo ve le raccontiamo.
Sempre su questo numero potrete leggere l’intervista di Dario Ceccarelli a Gilberto Simoni che, dopo aver ricoperto di melma Ivan Basso nella tappa de l’Aprica, ha ritrattato tutto il 5 giugno scorso davanti al procuratore della Federciclismo Armando Forgione con un incredibile «sono stato frainteso». In questo numero, Ceccarelli raccoglie il pensiero del corridore trentino che conferma in pratica tutto. Per lui Basso resta una persona che merita d’essere cancellata e soprattutto alla quale non ha intenzione di rivolgere più la parola, perché il varesino - a suo dire - di parola non è stato. Ma anche questa storia cosa ci insegna? Che alla ricerca del vero si preferisce tutta un’altra storia e tutta un’altra verità. Il Bondone resta per la storia una tappa epica; le corse di un tempo inavvicinabili e avvincenti; l’Aprica di Simoni e Basso, la tappa del grande tradimento: il più forte non ha fatto vincere il più debole.
Il traguardo della verità è certamente il più difficile da raggiungere, ma una cosa è certa: il ciclismo riscritto intingendo il pennino nella retorica più antica e stantia non ci piace. Il ciclismo è un racconto fatto di storie; non di storie chiaramente verosimili.
Pier Augusto Stagi
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