Compirà settanta anni il 15 aprile, Raymond Poulidor, il Bartali di Francia. Un Bartali per longevità atletica e caratura agonistica e spessore morale, anche se del nostro Gino così meno vittorioso in realtà... Compirà settanta anni, l’eterno secondo del Tour, secondo ad Anquetil nel ’64, secondo a Gimondi nel ’65, secondo a Merckx nel ’74, e terzo poi per ben cinque volte, tra l’altro, la prima volta al suo esordio, nel ’62, la quinta, al suo ultimo Tour, disputato nel ’76, a quaranta anni compiuti.
Compie settanta anni, un modello di ciclismo saggio, paziente, forse cocciuto, certo sereno. Un ciclismo fedele, da benemerito di un’arma leale, una vita intera con la Mercier, cambiasse pure il cosponsor, dalla BP alla Fagor alla Gan alla Miko, da chi ha ingualcibilmente saputo correre dall’età dei Coppi, nel ’59 a quella degli Hinault, dei Moser, dei Saronni, tutti in corsa con lui al Mondiale del ’77: quella sua ultima gara iridata, a San Cristobal, la diciassettesima in 17 anni di professionismo, onorata addirittura andando in fuga al primo giro...
Compirà settanta anni, e di certo in Francia ricorderanno a pagine piene il suo antagonismo con Jacques Anquetil, da lui così diverso per carattere e tecnica, tanto cinico Jacquot quanto generoso Poupou, tanto charmant il biondo quanto discreto il bruno, con quella vetta epica del testa a testa - anzi gomito a gomito - sul Puy de Dome, Tour ’64, che avrebbe sancito un verdetto per quindici sottili secondi solo insufficiente a Poulidor per guadagnare la maglia gialla: già, quella maglia gialla che Raymond Poulidor non avrebbe di fatto mai vestito in quattordici Tour, e che avrebbe un giorno, ironia della sorte, indossato per le esigenze di un film, «Les etapes de la glorie» di Daniel Pautrat...
Compie settanta anni, Poulidor. E ritorna, curiosamente, nei modi e nel batticuore, con la vittoria folgorante di Filippo Pozzato alla Sanremo del 2006, quella sua unica corsa vinta in Italia, l’incredibile Milano-Sanremo che il francese conquistò nel 1961. Poulidor come Pozzato, e di certo solo il ciclismo, per il perpetuarsi dei suoi itinerari e per la semplicità del suo gesto, può consentire paragoni così arditi... Pozzato, solo, senza più Nocentini ed Astarloa, con la muta del plotone ad inseguirlo è ancora lui, Poulidor che nel ’61, dopo aver lasciato Annaert e Geldermans sul Poggio, è su via Roma: il primo, splendido, a centro strada, il francese, questo ben lo rammentiamo, raccolto lungo le transenne di destra, per proteggersi dal vento e dalla paura.
Il colore rutilante del 2006 ed il bianco e nero del ’61 si abbracciano, come solo il nostro sport consente. E come allora Rik Van Looy, così Alessandro Petacchi oggi, supererà il fuggitivo un metro solo dopo il traguardo. Compie settanta anni, Poulidor, e rinasce quella sua Sanremo, quella via Roma interminabile, e quell’episodio misconosciuto patito una curva prima: quando, per una segnalazione sbagliata, si trovò fuori strada e dovette incredibilmente tornare sui suoi passi.
Compie settanta anni Poulidor, con quell’aria da soldato a vita senza licenza premio che pronuncia un «obbedisco» ennesimo al suo guru Antonin Magne. E che dalla vita e dal Tour, pur senza vincerlo, ha avuto tanto, non solo queste righe. «Dite che sono stato sfortunato, perché non ho vinto un Tour ? - come disse una volta . No, vi sbagliate, io sono stato fortunato, perché la sfortuna nella esistenza di un uomo, e di un ciclista, è un’altra, è quella di Roger Rivière, che si rompe la colonna vertebrale in fondo ad un precipizio e si frantuma l’esistenza in due». Proprio così. E grazie per consentirci di riperterla anche a noi stessi, questa lezione.
Che detta da un ciclista, chissà perchè, ci sembra una verità di spessore maggiore.
Gian Paolo Porreca,
napoletano, docente universitario
di chirurgia cardio-vascolare,
editorialista de “Il Mattino”
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