Editoriale
DIANO IL BUON ESEMPIO. Corridori nella hall, in fila per farsi “cavare” il sangue. Clienti attoniti che, convinti di entrare in un hotel, pensano invece di essere finiti in una ASL o su «Scherzi a parte». Questo è l’ultimo di una serie infinita di casi imbarazzanti in materia di controlli ematici.
Siamo alla Tirreno Adriatico: prima tappa, 8 marzo.
I corridori e i dirigenti vanno su tutte le furie perché le modalità di svolgimento dei prelievi sanguigni appaiono palesemente in contrasto con quanto disposto dai regolamenti. I corridori si sottopongono tra rabbia e costernazione agli esami in un’area di passaggio di fianco alla hall dell’albergo, senza che venga però tutelato il più elementare diritto alla privacy e la minima garanzia in materia di igiene. Al disorientamento degli atleti corrisponde lo sconcerto degli altri ospiti dell’hotel. L’Unione Ciclistica Internazionale si limita a chiedere scusa, precisando che l’ispettrice medico addetta ai controlli si era resa conto immediatamente dell’infelice sistemazione logistica, dovuta a situazioni contingenti e si era già scusata sul posto con i corridori.
Unico problema: quando i corridori sbagliano, pagano; in questo caso tutto finisce a tarallucci e vino. Non ci sembra né giusto né tantomeno corretto. Il danno è di quelli gravi, perché portato non solo a dei tesserati e ai loro sponsor, ma anche agli organizzatori della corsa e a quanti in quell’albergo hanno visto scene poco edificanti: sicuramente lesive per la buona immagine del ciclismo. I ciclisti e il ciclismo hanno pagato e pagano quotidianamente, che comincino a pagare anche coloro i quali chiedono rigore e buonsenso.
I corridori danno il sangue, che i “vampiri” comincino a dare anche loro il buon esempio.

DORMONO IN PIEDI. Se sei dopato, ti diamo una mano; se sei malato è meglio che ti curi e fai dell’altro. Questa è in sintesi la lezione in materia di doping che possiamo dire di aver appreso in questi ultimi giorni. Sì, proprio così. Se pensate di aver letto e sentito tutto in materia di doping, sbagliate. Perché in questo campo l’incredibile sembra non aver fine. Ultimi protagonisti, in ordine di tempo, Danilo Hondo e Franck Bouyer.
Il tedesco è stato squalificato per due anni a causa di una acclarata positività. Ha fatto ricorso al Tas e ha perso; ha ricorso ad un Tribunale Civile del Canton di Vaud, in Svizzera, e gli hanno dato ragione. Con quale motivazione? «La pena è troppo severa», rispetto alla colpa effettiva. Un precedente gravissimo, questo, che consente a Hondo di tornare a correre immediatamente in attesa della sentenza definitiva che dovrebbe essere pronunciata nel prossimo mese di giugno. La seconda storia, ancora più incredibile alla luce di quanto avete letto sino ad ora, riguarda il francese Franck Bouyer, corridore che soffre di narcolessia e che per questo è costretto ad assumere il “Modafinil”, medicinale stimolante che figura nella lista dei prodotti dopanti. Bene, da un anno e mezzo il corridore francese non può correre, sebbene diversi neurologi abbiano provato che il medicinale in questione non ha alcuna influenza sulle performance sportive di Bouyer.
Il francese ha fatto ricorso alla Wada che lo ha autorizzato a correre ma è l’Uci stavolta, che si è appellata al Tas, che a sua volta ha accolto l’appello e ha imposto al corridore di non correre. Bouyer, però, non ne vuole sapere e ha deciso di sottoporsi a nuovi esami, di ripresentare tutte le documentazioni sanitarie del caso e di ritornare all’attacco.
Sorge spontaneo un dubbio: non sarà che anche certi dirigenti dell’Uci soffrano di narcolessia? Il sospetto c’è. A giudicare dai risultati, è proprio il caso di pensare che dormano in piedi.

MERITI SPORTIVI E FINANZIARI. Di ProTour e di tutti i problemi annessi e connessi parliamo anche questo mese ampiamente. Ma una riflessione sui discutibili criteri di ammissione vorrei farla. Alcide Cerato, presidente del Consiglio del Ciclismo Professionistico della Federciclismo, l’ha già buttata lì: «Potremmo un giorno ricorrere anche al Tas». Altri hanno anche ribadito: «Potremmo ricorrere al Tar del Lazio». L’Uci sembra però sottovalutare la cosa, come del resto ha fatto la Federazione Italiana Sport Invernali (Fisi), in occasione delle Olimpiadi di Torino.
Vi ricordate quello che è successo nello snowboard? Il caso di Isabella Dal Balcon che ha fatto ricorso al Tribunale Arbitrale dello Sport del Cio, ottenendo l’invalidazione del criterio di selezione adottato dalla Nazionale italiana. In pratica ha detto: «non è giusto che non faccia parte della nazionale, perché sono la migliore (come del resto ha dimostrato a Torino)». La Fisi ha risposto: «il tecnico sceglie chi vuole». Il Tas, nelle sue 11 pagine di motivazione, ha detto: «La Fisi ha posto prima alcune condizioni per l’ingresso nella squadra olimpica, nell’ottobre 2005: “Valgono i
risultati in tutte le gare di coppa del Mondo”. Ma non ha mai notificato questo criterio per iscritto alle atlete». Questo per dire che cosa? Che se le squadre italiane e non, fuori dal Pro Tour per intenderci, decidessero di consorziarsi e ricorrere tutte assieme al Tas, potrebbero non avere poi così tanti problemi a far saltare il banco.
Il Pro Tour è un meccanismo basato esclusivamente sui bilanci e non sui meriti sportivi. Crediamo che per un sport olimpico come il ciclismo le capacità sportive valgano perlomeno quanto quelle finanziarie. O no?
Pier Augusto Stagi
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