Maurizio Spreafico: «Veloplus sta crescendo, ho tre ragazzi fantastici e poi c'è sempre lei, la bicicletta...»

di Pier Augusto Stagi

Sessant’anni di vita e cinquanta trascorsi in bicicletta. Il 6 marzo Maurizio Spreafico taglierà il traguardo dell’importante genetliaco, ma nel contempo festeggerà anche il mezzo secolo d’amore incondizionato con la bicicletta, che per caso incontrò a Sirone (Lecco), in occasione dei Giochi della Gioventù: una gara, una vittoria. 
«L’inizio fu pazzesco, più che promettente, poi però per qualche anno sono tornato sui campi di calcio, anche perché ai campionati Provinciali ci andai molto speranzoso, ma se ai Giochi del­la Gioventù i rapporti erano liberi, ai Provinciali no e il mio meccanico mi ave­va montato quelli sbagliati: non mi fecero nemmeno partire».
Sceso dalla sua bellissima Legnano color oliva, torna fra i pali, dove con la maglia dell’oratorio San Giorgio di Molteno giocava come portiere. 
«Non ero certamente un drago, anzi - racconta oggi l’ex professionista degli Anni Ottanta con le maglie di Remac, Fanini e Verynet -: prima partita, tre gol subiti. Finisco immediatamente in panchina e lì ci resto per due anni».
Da diciotto, invece, Maurizio Sprea­fico è l’amministratore unico della Velo­plus e questo mese è il nostro piccolo grande “Capitano coraggioso”, lui che come tanti italiani ha cominciato da una microscopica bottega e oggi può dire di aver dato vita ad una realtà che è divenuta negli anni, passettino dopo passettino, pedalata dopo pedalata, un punto di riferimento per tanti club di­lettantistici, giovanili e amatoriali, ma anche per diversi team professionistici come la Wagner Bazin Wb (ex Bin­goal, ndr), la Toscana Factory (ex Cor­ra­tec, ndr), due “Devo’ della Wagner, la MG.K Vis, l’ungherese Karcag Cy­cling, la Hess Cycling Team, formazione britannica femminile, e la Biesse Carrera Premac».
Cosa ricorda della sua infanzia?
«Tutto, ma soprattutto che ero un in­demoniato. Non stavo mai fermo, ave­vo l’argento vivo in corpo: figlio unico e un po’ viziato».
Il cocco di mamma e papà.
«Chiaro. Mamma Piera era casalinga, papà Giuseppe responsabile di un’officina metalmeccanica. Infanzia serena e tranquilla, ricca d’amore e gioco. Li­bri? Pochini, meglio l’album delle figurine Panini».
Il primo amore è il calcio?
«Assolutamente sì, con il San Giorgio di Molteno. Gioco come portiere, o me­glio, vorrei giocare, ma non sono portatissimo, quindi finisco ben presto in panchina e li ci resto per un po’».
A scuola come andava?
«A piedi, anche perché elementari e me­die le faccio a Molteno e io sono di Sirone, un chilometro e mezzo di strada. Poi vado a Lecco all’Istituto Su­periore Statale Fiocchi, dove conseguo dopo tre anni il diploma di disegnatore meccanico».
Però tra il diploma e la panchina c’è an­che posto per una bicicletta.
«Una Legnano, color verde Legnano. Come ho detto, Giochi della Gioventù a 10 anni: faccio una gara quasi per gioco e la vinco. Poi ci sarebbero i Cam­pionati Provinciali, ma torno a casa perché avevo i rapporti della bicicletta sbagliati. Torno a giocare - si fa per dire - a pallone. Sempre in panchina, fino a quando non mi vengono a cercare quelli della Supermacelleria Rat­ti: mi vestono di tutto punto e mi danno anche una fiammante bici Gian­ni Motta, l’anno dopo sarà una Ros­sin. Parto da esordiente: primo anno, 0 vittorie. Secondo anno, 3 successi. Poi allievo primo anno con la ma­glia della Arredo Market con bici Colnago, 0 vittorie. Secondo anno, due vittorie. Da juniores eccomi alla Co­mense Cicli De Rosa: 3 vittorie al pri­mo anno e altrettante al secondo. Da dilettante passo alla Coemi di Luciano Menecola con Marco Lietti e Marco Sa­ligari. In sei vinciamo 30 corse, io 3, con il campionato italiano militari che rende orgoglioso il capitano Angelo Giacomino, oggi Generale. Secondo anno da dilettante con la maglia di Gian­ni Di Lorenzo, con Gianni Bugno e Mario Scirea. Poi eccomi con la Bre­scia­lat: 4 vittorie, una al Giro Baby vinto da Podenzana e chiuso dal sottoscritto al 6° posto. A 21 anni mi si aprono le porte del professionismo, grazie a patron Mario Cioli che mi fa passare alla sua Remac Fa­nini con Elli, Tosi, Botteon e Finazzi».
Da professionista non lascia il segno…
«Tante fughe, tanta battaglia, zero vittorie. Faccio tre anni: dopo due stagioni alla Remac, eccomi con la Verynet, sempre di Cioli, ma la fatica è tanta e i risultati pochini. Mi cerca l’Autofuochi di Cesare Biondi, vorrebbe che facessi il direttore sportivo in corsa, preferisco dedicarmi al lavoro. A 25 anni - nel 1990 - apro a Barzanò un piccolo negozio di vendita biciclette e assistenza. Inaugurazione a febbraio del 1991, con Gianni Bugno, un caro amico, una persona che per me è ancora speciale».
In famiglia il ciclismo lo amavano?
«Papà molto, mamma molto meno. Pa­pà pedalava per diletto e tifava Mo­ser, mamma pregava tutti i santi giorni perché tornassi a casa sano e salvo».
Il campione che sarebbe voluto essere.
«Francesco Moser: attaccante nato, ge­neroso come pochi, vincente come nessuno. Ma quando ho conosciuto Bep­pe Saronni sono rimasto folgorato dalla sua intelligenza, dalla sua personalità: che campioni, ragazzi».
Una frase.
«Se hai fatto il corridore, nella vita puoi fare di tutto».
Quando si rende conto che nel mondo del lavoro sta svoltando?
«Nel ’98, quando mi trasferisco a Be­ve­ra di Sirtori: prendo un ne­gozio di 400 metri quadri e sento che, come piccolo im­prenditore artigiano, non so­no più uno da fuga, ma un bel passista, che tiene duro e non molla».
E dire che i problemi non sono mancati.
«Le cose vanno bene, molto bene e i clienti sono anche amici. Il 30 ottobre del 2007 nasce ufficialmente la Velo­plus, un nome che dice che oltre alla bicicletta c’è di più. A me però viene a mancare Paola, mia moglie, che mi aveva affiancato in tutto e per tutto in questa nuova avventura. Si ammala e dopo poco mi trovo da solo con Mat­teo, Alice ed Erika. Non mollo di un centimetro, anche se in più di un’occasione vado in affanno e in crisi. Man­dare avanti un negozio e una nuova realtà commerciale non è per niente facile, ma ho tante persone che mi vogliono bene e mi danno una mano. Oggi la Ve­loplus sta crescendo (mil­le metri di struttura e una ventina di persone impiegate, ndr) e il negozio (Cicli Spreafico, ndr) a Bevera, mandato avanti da Dario Gargantini e Orlando Vecchi, va a gonfie vele».
Un’azienda famiglia…
«Nella quale lavorano i miei ra­gazzi (Matteo corre per la MG K Vis, ma non manca di dare una mano: è un ottimo creativo; Erika è la nostra grafica; Alice è la responsabile della produzione, ndr); Franca, la mia compagna, è filtro e metronomo di tutto; Silvia che è il mio braccio destro, coordina tutte le ragazze che danno il loro prezioso e in­condizionato contributo».
Ama il cinema?
«Principalmente film western». 
Il preferito?
«Per un pugno di dollari, di Sergio Leone». 
Piatto?
«È sufficiente una buona pizza, ne sono golosissimo. Per farmi felice mi basta pochissimo».
Dolci?
«Gelato, purché ci sia la panna, tanta panna».
Quindi ama la panna…
«Esatto».
Colore.
«Il rosso è il nero, del Milan e della Ve­loplus».
Il suo hobby?
«La bicicletta, è l’unica cosa che amo fare».
Ha un sogno?
«Lavorare un pochino di meno, per fa­re più vacanze in bicicletta».
Monotematico.
«Innamorato. Quest’anno Franca ed io ci siamo regalati dieci giorni di relax in Sardegna, a Bosa, in provincia di Ori­stano, e abbiamo pedalato tre ore al giorno: io con la muscolare, lei con l’elettrica. Il modo migliore per gustarsi i paesaggi e per pensare a cose nuo­ve da realizzare».
Alfredo Martini ha sempre sostenuto che non c’è posto migliore per pensare che in sella ad una bicicletta.
«Vede, la bicicletta è il non plus ultra, soprattutto per noi di Veloplus».

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