Scripta Manent

COSA SAREMMO SENZA IL CICLISMO?

di Gian Paolo Porreca

Cosa saremmo mai sen­za il ciclismo, ricordatelo voi e ricordiamocelo noi una volta di più, noi, quando sembra venirvi meno per età o disillusione la passione.
Cosa saremmo noi senza il ci­clismo, senza una ancora con il suo nome che è un “Ancora e sempre”, diritti di autore ai Gens 1970, senza il suo rifugio, e lo scriveremmo quasi con tre «g» “rifugio” tanto lo ritroviamo sacro.
Cosa saremmo noi, senza quel mondo autentico che il tempo odierno sembra drasticamente rimuovere o in­quinare al prezzo dei social, e che pure - basta una serata, un incontro insieme - ci ri­fornisce puntualmente di una dose equa di elisir, di un cordiale di buona speranza.
Cosa saremmo noi, stavolta grazie al “Gala del ciclismo” organizzato l’ultimo week­end di ottobre, da quel laborioso Maestro Artigiano che è da decenni Antonio Botta.
Ed eravamo lì a Siano, all’incrocio fra le province di Sa­lerno e Avellino, cercatelo pure con rotta giusta su Google maps, per non perdervi fra Bracigliano e Stria­no, dove il ciclismo dilettantistico campano degli anni d’oro, 1950- 1960, quello del­la giovinezza loro e nostra viveva di passioni popolari municipali ed extraprovinciali, fra Landi e Di Martino, Mari e Tufano, Avallone e Botta, Marzaioli ed Ac­con­cia, Mauso e Mastroianni...
Cosa saremmo noi, senza il ciclismo, e senza un incontro come questo ultimo che a Siano ti permette di rivedere Giuseppe Saronni, insignito lì di un Premio alla Carriera, e con lui l’amico caro Beppe Conti, nel segno di un libro da poco scritto insieme a quattro mani, e pure Ro­ber­to Gaggioli, pure Gianfranco Coppola, Marco Lobasso, Giu­seppe Cutolo...
E lì, tu scettico in blues, a ritrovarti nuovamente desnudo di cuore, tu che pure Sa­ronni forse non l’hai mai prioritariamente eletto a prediletto, per il rimbalzo delle corse e delle emozioni narrate, di ruota in ruota. Perché a vincere non è mai esclusivamente il campione, anche quando arriva in solitaria, nel ciclismo. Ma è la ragione sentimentale che questo sport ciclismo univocamente rappresenta.
Ed è così che tornavamo ad essere noi, rivedendo il ra­gaz­zo Saronni vincere a Ra­vello, al Giro 1978, salutavamo Sergio Meda in festa, «ma tu l’hai visto che campione abbiamo?», nel sorvolare di netto il gruppetto de­gli scalatori fra Amalfi e Scala....
E tornavamo ad essere noi, perché chi vince fa vincere anche il secondo, nella Frec­cia Vallone del 1980,  quando Saronni riuscì a staccare Hinault su una côte e in un inatteso contrattacco raggiunse Sven Ake Nilsson, fuggitivo generoso di giornata, e di rigore lo sconfisse, po­vero Nilsson dal nome troppo lungo per resistere all’inseguimento, sul rettilineo di Spa.
E noi ancora, sulle onde di Saronni, ma Siano è lontana dal mare, che in fondo non patimmo troppo la sua sconfitta nel Mondiale di Praga, 1981, perché ci intrigava ben altrimenti il ritorno alla luce di Freddy Maertens dopo tanto sfortunato oblio, e au­spi­cavamo un titolo romantico per la Gazzetta del giorno dopo, e l’avremmo goduto di grazia letteraria. “La Boheme è finita”, Bruno Raschi.
E che della volatissima stra­or­dinaria di Goodwood, Mon­diale stavolta, 1982, a stento ricostruiamo il divenire, tanto essa fu al fulmicotone: Boyer Lemond Lejarreta Kelly Zoetemelk, riversi ai bordi del video.
E tornavamo ad essere noi, non più in blù o in blues, ma in maniche di camicia, al “Portico” di Siano, vino bianco ad onta della braciola rossa di capra, e Saronni in maglia iridata tuttavia, a quella Sanremo del 1983, vin­ta con un contropiede squisito sul falsopiano del Poggio. Ed una gentile discesa su Sanremo, sovrano.
E a Siano, con Beppe Conti e Giuseppe Saronni, ecco l’unisono miracoloso del ciclismo, ci ritrovammo uguali a plaudire ad un epinicio. Quello che Bruno Raschi a Saronni appunto dedicò l’indomani, con il paragone splendido del campione che è ormai certo della vittoria e si volta indietro e si mette in pace una mano sui fianchi, come un agricoltore al ritorno dai campi dopo un giorno di lavoro, e sembra onorare il destino “mio dio, grazie, anche stavolta la fatica mi è andata bene”.
E ci ricordavamo insieme a Siano, paese di biciclette e di collina, che la prima ed unica Sanremo - dopo tre secondi posti - di Saronni sarebbe stata anche l’ultima vista e raccontata da Bruno Raschi. Da casa scriveva quel sabato, malato all’ultima curva, sperando come noi tutti in Dio.

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