Primoz Roglic, la mia favola rosa

di Francesca Monzone

Esiste una forza che governa il destino dell’uomo. Alcuni sono convinti che ci sia una casualità in questo, un fato, altri invece sono convinti di essere artefici del proprio es­sere, certi di poter decidere il proprio futuro lavorando duramente per realizzarlo. Il destino di Primoz Roglic è scritto sulle montagne, quelle stesse cime che lo hanno visto vincere nel salto dal trampolino con gli sci e che poi sono state testimoni della sua ca­du­ta. Sono le montagne che hanno se­gnato la sua vita nel bene e nel male, dandogli l’onore e la vittoria ma anche la sconfitta dal sapore amaro. È su una salita che Primoz Roglic ha perso il Tour de France nel 2020 ed è sempre su una salita che ha conquistato la maglia rosa del Giro d’Italia. Il destino di Roglic durante la Grande Boucle del 2020, è stato segnato in modo negativo dalla sconfitta nella cronoscalata a La Planche des Bel­les Filles. Quel giorno aveva un vantaggio di 57” alla partenza della cronoscalata di 36,2 chilometri e lui, in maglia gialla, sembrava avere la vittoria in mano. Poi tutto è cambiato quando Ta­dej Pogacar, il ragazzino di 21 anni, è partito su quella salita disintegrando il suo connazionale. Roglic era attonito, non riusciva a dire più nulla e il suo sguardo era perso nel vuoto. C’era la sconfitta, quella che brucia perché è inattesa.
Lo sloveno ha poi attraversato anni difficili con cadute, dolori e sconfitte, ma ci sono tre grandi vittorie consecutive che hanno alleviato quel dolore: la Vuelta conquistata nel 2019, 2020 e 2021. La montagna è nel destino di Roglic nella gioia e nella sconfitta nella corsa rosa del 2023, sul Monte Bondone al primo arrivo in salita dell’ultima settimana di corsa, Thomas capisce che lo sloveno non è reattivo come sempre e affonda il suo attacco, lasciandosi alle spalle l’avversario. La vittoria va a Joao Almeida che batte il britannico e lo sloveno è co­stretto a cedere 25 pesantissimi secondi, che si trasformano in un ritardo di 29 secondi nella classifica generale.
Ma il destino può riservare delle sorprese e sulle Tre Cime di Lavaredo qualcosa inizia a cambiare e quella sorte avversa sembra mutare. La vittoria va a Santiago Buitrago e il capitano della Jumbo Visma riesce a recuperare tre secondi sui rivali. Pochi? Forse, ma un segnale.
Il tempo della vittoria ancora non è arrivato e il Giro viene deciso 24 ore più tardi nella cronoscalata del Mon­te Lussari. Il destino rientra in gioco e Ro­glic corre ai confini con la sua Slo­venia. La notte prima di quell’ultimo atto respira l’aria delle montagne di casa. Sarà per lui una notte di riflessioni e di pace, perché lui ha sempre so­stenuto che nella vita si vince o si perde e non esiste una via di mezzo.
Tante cose sono state capovolte il sa­bato sul Monte Lussari, la classifica generale del Giro d’Italia, certo, ma soprattutto le traiettorie personali di Primoz Roglic e Geraint Thomas, a riprova che il ciclismo è un grande ordinatore di destini, un forza superiore che da una parte dà e dall’altra inevitabilmente toglie. Lo sloveno si è scontrato con la condanna subita nella cronometro a La Planche des Belles Filles nel 2020 e an­che al Giro, per alcuni minuti, tutti hanno pensato che lo sloveno ancora non avesse pareggiato i conti con il suo destino, presentatosi questa volta sotto la forma un di salto di catena. Ma se da una parte la sorte è beffarda, in altri casi arriva quel salvatore che, come d’incanto si materializza sulla tua strada a risolvere i tuoi guai. Questo è quanto è accaduto a Primoz, che sceso dalla bici a causa della catena finita a terra, ha ritrovato sulla strada un ex compagno della na­zionale di sci, che lo ha aiutato a ripartire.
«Il ragazzo che mi ha aiutato a ripartire durante la cronometro era Mitja Mez­nar, un mio ex compagno di squadra nella nazionale di sci - ha detto Roglic nella conferenza stampa finale del Giro -: abbiamo vinto insieme il Mondiale juniores di salto a squadre nel 2007 e siamo stati anche compagni di camera. All’inizio non lo avevo riconosciuto ed è incredibile che si sia trovato al posto giusto al momento giusto».
Dello sloveno aveva colpito la sua freddezza quando è dovuto scendere dalla bici sul Lussari, un controllo di se stesso che ha imparato quando si lanciava nel vuoto con gli sci. In pochi, dopo quello stop, avrebbero scommesso sul­la sua vittoria, ma il destino ancora una volta si è giocato in montagna e, mentre Roglic volava sulle rampe più ripide, dietro di lui Thomas in maglia rosa soffriva e non riusciva a tenere il rit­mo dell’amico rivale.
Nonostante gli attimi persi per risalire in sella, Roglic ha ribaltato il Giro. Qua­­ranta secondi sono stati quelli all’ar­rivo sul gallese, molto più di quanto gli servisse, dimostrando di essere il più forte in assoluto. Roglic è diventato re e per farlo ha avuto bisogno del sostegno del suo popolo: tutta la Slovenia si è spostata sul Monte Lussari a due passi dal confine, in luoghi che Roglic conosce bene perché a Tarvisio, da dove è partita la cronometro,  aveva già vinto nel marzo del 2007 l’iride nel salto con sci.
«Essere un uomo che le persone vengono a sostenere, qualunque sia il ri­­sultato, è fantastico: ne sono molto orgoglioso. Bisogna sempre avere speranza e lottare contro gli eventi».
Roglic ha vinto sconfiggendo tutti, com­preso quel Thomas che, come lui, cercava un riscatto nella corsa rosa. Lo sloveno e il gallese sono amici e vivono entrambi a Monaco, amiche sono le famiglie e i loro bambini sono compagni di giochi: tra i due c’è un rapporto che va oltre il ciclismo.
Quando gli è stato chie­sto se fosse de­luso per aver perso il Giro, il gallese si è limitato a dire che questo è il ciclismo e che un’amicizia non si rovina con una vittoria.
«Ho parlato con Geraint Thomas, siamo amici, dovevamo sfidarci ed è stato bello. Uno dei due doveva prevalere sull’altro perché è così che funziona in gara. Ma questo risultato non an­drà ad intaccare la nostra amicizia».
Il campione della Jumbo Visma ha 33 anni e un corpo consumato dallo sforzo e dagli incidenti. L’età che avanza per lui, se da una parte indebolisce il corpo, dall’altra lo rende più saggio e consapevole ed è per questo che il suo Giro d’Italia lo ha vinto adesso.
«Ogni volta ci sono nuove sfide, nel 2020 abbiamo attraversato un momento terribile a La Planche des Belles Filles, ma bisogna andare avanti, è una me­tafora della vita, si deve sempre im­parare e  migliorarsi. Questo è stato un Giro di alto livello e a me piace correre e competere con gli altri anche se non mi sento invincibile, ma questa stagione posso dire che sta andando bene».
La vittoria però non è arrivata da sola, perché nel ciclismo si corre in squadra e Roglic il successo lo ha raggiunto grazie ai suoi compagni, che lo hanno sostenuto sempre, continuando a credere in lui anche quando la vittoria sembrava ormai lontana. Sul futuro lo sloveno ha lasciato diverse porte aperte: potrebbe esserci un Tour in aiuto a Vingegaard oppure una Vuelta per cercare il quarto successo, ma ora pensa alla famiglia e a godersi i suoi affetti più cari.
«È stato bello vedere i miei compagni di squadra così al mio fianco, sono una parte importante della mia vita. Ab­biamo raggiunto insieme qualcosa di incredibile e adesso dobbiamo decidere insieme come celebrarlo. Non so se farò il Tour, certamente quella è una vittoria che manca nel mio palmares. Adesso penso solo a godermi  questo successo con la mia famiglia, senza la quale oggi non sarei qui».
Fino alla prossima sfida.

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