Matthews: «La mia vittoria speciale»

di Pier Augusto Stagi

È sempre sorridente ed è uno dei corridori più considerati del gruppo, per la sua esperienza, per il suo innato garbo e la sua educata disponibilità. Quando vince Michael Mat­thews sono in tanti ad essere contenti, non solo i suoi compagni di squadra o Brent Copeland, ma tutti. Proprio tutti.
Ha un sorriso contagioso che illumina il gruppo e i suoi modi glamour, che nel ciclismo sono anche una rarità, lo fan­no uno degli atleti più eleganti in assoluto, oltre che vincenti. Lo chiamano «Bling», che significa vistoso e sgargiante, luminoso.
«Nel vostro Paese ho trascorso tre an­ni con la Nazionale australiana nel centro di Gavirate, vicino a Varese - ci racconta il 32enne australiano -. Mi piace molto la vostra cultura, il vostro modo di vivere, prendendo la vita per quella che è. Non per niente io e mia moglie Katarina nel 2014 abbiamo deciso di sposarci a Firenze e, appena possiamo, trascorriamo qualche giorno in Toscana. Ov­viamente siamo innamorati della cucina italiana. La regione del Chianti è fenomenale».
Nel 2010 a Melbourne si è laureato campione del mondo in linea Under 23. Passato al professionismo nel 2011, ha vinto tre tappe al Giro d’Italia, dove ha anche indossato per otto giorni la maglia rosa (sei nel 2014 e due nel 2015), quattro al Tour de France, ag­giudicandosi come detto anche la classifica a punti nel 2017, e tre alla Vuelta a España (vestendo in tre occasioni la maglia rossa nel 2013).
Michael Matthews, 32 anni, viene da Farrer, sobborgo meridionale di Can­berra, la capitale dell’Australia. Una capitale nata nel 1927, figlia dell’incapacità degli australiani di scegliere una capitale tra Melbourne e Sydney. Lì vivevano gli aborigeni, poi sterminati dal morbillo e dalla varicella. Oggi, nei parchi urbani di Canberra, i canguri vi­vono in libertà. Ma il soprannome di Matthews, come detto, non è “Kan­ga­roo” come si potrebbe pensare, ma “Bling”, “Luccicante”.
Quest’anno la stagione non era per lui cominciata nel modo migliore. Gliene erano capitate di tutti i colori, ad incominciare dal Covid preso alla Parigi-Nizza che gli ha fatto saltare la San­remo e altre classiche, e poi la pesante caduta al Giro delle Fiandre. La vittoria di Melfi è stato il giusto risarcimento ad un ragazzo che si merita questo e altro.
«Un paio di settimane fa mi sono chiesto se volessi ancora fare tutto questo - ha rivelato quel giorno il trentadueenne australiano della Jayco-AlUla -. Ora ho la risposta: non volevo che diventasse altro. Per tutti questi motivi, la vittoria di Melfi non è solo un’altra vittoria tra le tante, ma è qualcosa di speciale».
Perché sapeva che prima o poi il suo giorno sarebbe arrivato.
«Ho lasciato andare l’istinto, all’ultima curva avevo il sorriso in faccia perché vedevo la vittoria davvero vicina, possibile. Prima del successo, l’importante è il divertimento. Se non ti diverti a fare ciò che fai, allora puoi stare sicuro che non vincerai mai. A quel punto è me­glio davvero stare a casa».
Michael, lanciato tra i grandi dal titolo Under 23 nel 2010, ora è uno dei corridori più apprezzati in gruppo. Per Ta­dej Pogacar è il migliore amico e proprio lo sloveno, attraverso il suo agente Alex Carera, gli ha mandato un messaggio con dedica: «Ho visto il finale ed ero nervoso tutto il tempo perché Mi­chael sembrava stesse davvero mol­to bene. Ha avuto tanta sfortuna quest’anno, e ora ha vinto una tappa al Giro d’Italia. Beh, sono super felice per lui».
Super, quel giorno, è stato anche il campione d’Italia Filippo Zana, al quale l’australiano ha rivolto il suo ringraziamento.
«Già al Romandia era andato fortissimo, si è preparato al meglio per questo Giro e nell’aiutarmi è stato semplicemente fantastico».

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