Masnada: «Voglio continuare a crescere»

di Carlo Malvestio

Al Wolfpack sono bastate po­che settimane per capire che in Fausto Masnada avevano trovato un altro lu­po affamato adatto alla cau­sa. Pur non vincendo molto, il salto di qualità del bergamasco da quando è approdato nell’universo Quick Step è stato evidente, basti pensare che non più di qualche mese fa, nella sua Ber­gamo, è andato vicinissimo a vincere una classica Monumento come Il Lombardia. In questo 2022, però, Masnada ha voluto immediatamente togliersi questo peso di dosso, sbloccando la casella delle vittorie al Tour of Oman, con un assolo nella quarta tappa con arrivo nella capitale Mascate. Il suo ultimo successo risaliva al maggio 2019, quando in maglia An­droni vinse la tappa del Giro d’Italia a San Giovanni Rotondo.
Il modo migliore per cominciare un’annata che potrebbe servirgli ad accrescere ulteriormente il suo status di corri­do­re, non solo all’interno del Wolf­pack, ma in tutto il gruppo.
Fausto, stai trascorrendo un inverno esotico…
«Ho iniziato al caldo. Prima con un ritiro in altura in Colombia e poi con il doppio appuntamento nella penisola araba, tra Tour of Oman e UAE Tour. Insomma, è praticamente da 40 giorni che non scendo sotto i 25°. E la cosa non mi dispiace, poter saltare l’inverno europeo è un bel privilegio, so­prattutto in queste settimane in cui ho vi­sto che fa brutto tempo un po’ dappertutto. Rien­trare sarà un bel trauma».
Ti piacciono le corse arabe?
«In realtà, come gare, preferisco quelle del calendario europeo. Ma come ap­proccio alla stagione il deserto non è poi così male. Dipende anche da co­me esce fuori la corsa, perché in alcune edizioni, tra vento e ritmi folli, terminavi la settimana con un blocco di lavoro importante, altre volte invece è capitato di passare sei giorni nella pancia del gruppo senza nessun sussulto. A quel punto rischi quasi di perdere la condizione. La squadra, comunque, parte per queste corse sempre con la volontà di vincere e così tutti noi».
Come mai hai scelto la Colombia come ritiro?
«È una cosa che avevo già sperimentato due anni fa in CCC. A gennaio ho avuto il covid e questo mi ha compromesso il training camp con la squadra, così, appena guarito, ho deciso di fare le valigie e andare in Colombia, a Dui­tama, per conto mio, ovviamente con il benestare della Quick Step. Lì mi sono appoggiato al mio vecchio compagno di squadra Rodolfo Torres, che conosco dai tempi dell’Androni: è venuto a prendermi in aeroporto, mi ha messo a di­sposizione un massaggiatore e chi po­tesse far­mi dietro-moto. Come det­to, lo avevo già fatto nel 2020, quindi sapevo bene come organizzarmi. Al Teide era già tutto prenotato, ma fare qualche ora di aereo in più per andare oltreoceano non mi pesa per nulla».
Al Tour of Oman hai cominciato subito con una vittoria di tappa.
«Cominciare la stagione con un successo è importante e per nulla scontato. Certo, non è un successo di quelli che pesa, ma alzare le braccia al cielo dà sempre grande morale. Peccato per la classifica generale...».
Già, cosa è successo sulla Green Moun­tain?
«Jan Hirt era sicuramente il più forte, ma io ho dovuto fare i conti per tutta la tappa con alcuni problemi meccanici che mi hanno portato a gestire male la salita finale. Magari, se tutto fosse an­dato per il verso giusto, sarei riuscito a salvare la maglia, ma è andata così, ca­pita. Ogni corsa ha la sua storia. Resto comunque soddisfatto del mio Tour of Oman».
Sei tornato ad indossare il simbolo del pri­mato dopo un po’ di tempo.
«Sì, è vero, l’ultima volta che avevo in­dossato una maglia di leader in una cor­sa a tappe era il Tour of Hainan 2018, in maglia Androni. Però in squadra sono piuttosto abituati a portare il simbolo del primato. Io stesso l’anno scorso ho scortato diverse volte João Almeida in maglia di leader. Ha fatto piacere indossarla per un paio di giorni; la prossima volta cercherò di portarla fino alla fine».
Si sente di più la pressione con la maglia di leader addosso?
«La pressione c’è sempre, anche se so­no il primo dei gregari. A maggior ra­gione in una squadra come questa, abituata a vincere ovunque. Ma non è cer­to per quello se non sono riuscito a salvare la maglia».
Sei uno che entra in condizione velocemente o hai bisogno di qualche gara per car­burare?
«Solitamente riesco a presentarmi alle gare sempre abbastanza competitivo, come successo l’anno scorso al Cam­pionato Italiano o nel finale di stagione, però sicuramente per arrivare al top ho bisogno di mettere qualche giorno di gara sulle gambe».
Ogni anno stai aggiungendo un mattoncino alla tua crescita. Quanti ne hai an­co­ra da mettere?
«Sinceramente non lo so. So solo che devo lavorare duramente ogni giorno, come sto facendo, per costruirmi un presente e un futuro. Sono in una grande squadra, che mi mette a disposizione tutto quello che serve. Spesso corro per un capitano, altre volte sono io il capitano. Insomma, spero di avere an­cora un po’ di mattoncini da mettere».
Hai chiuso secondo Il Lombardia. Ti consideri più corridore da corse a tappe o da classiche?
«Le corse a tappe sono sempre state al centro dei miei pensieri. Mi piacerebbe poter diventare un buon corridore da Grandi Giri e per diventarlo bisogna passare anche dalle corse di 5-7 giorni».
Con la partenza di João Almeida avrai più chances per correre da capitano?
«Può darsi, ma le chances si guadagnano sul campo. Io mi preparo al meglio per ogni corsa, come se dovessi essere sempre il capitano, ma in una squadra come questa, in cui i talenti abbondano, bisogna anche sapersi mettere a di­sposizione e io sono molto contento di farlo».
Intanto la tua crescita a cronometro è sta­ta evidente.
«In una disciplina come la cronometro a fare la differenza sono i piccoli dettagli e si fa di tutto per riuscire a portare anche un minimo miglioramento. Po­si­zione, aerodinamica, abbigliamento, i materiali giusti, sono tutti elementi che ho imparato a conoscere bene qui. Quest’anno, per esempio, ho an­che un manubrio personalizzato. La bici da crono ormai la uso moltissimo; perfino in Oman e UAE, pur non es­sendo previste prove contro il tempo, sono riuscito a farmela assemblare dai meccanici e quando potevo l’ho usata per allenarmi. Era inevitabile che mi­gliorassi e, quando vedi che progredisci, ti viene ancora più voglia di spingerti oltre. Certo, non diventerò mai un Ganna o un grande cronoman, ma vo­glio andare alla ricerca dei miei limiti in questa disciplina».
Come prosegue la tua stagione da qui in avanti?
«Farò due settimane di allenamenti sul Teide con 2-3 compagni di squadra, do­­podiché correrò la Volta a Cata­lu­nya. Poi non so se farò un’altra corsa a tappe o le classiche. E non so nemmeno quale Grande Giro farò...».
Pensavo fosse scontato facessi il Giro d’Italia…
«In linea di massima sì, ma la squadra non ha ancora ufficializzato nulla, quin­di può pure essere che alla fine mi mandino al Tour de France».
Hai avuto modo di conoscere bene Andrea Bagioli?
«Certo, sarà con me al Teide. Andiamo molto d’accordo e condivideremo la ca­mera per i prossimi due mesi. È un bravo ragazzo e un grandissimo talento, con molta testa. Lavorare con ra­gazzi così professionali è un ulteriore sprone anche per me. Se mi chiede consigli? Qualche volta sì, è un ragazzo sveglio, attento, che sa ascoltare ma sa anche prendere decisioni per conto proprio. Se posso mettere a disposizione la mia maggiore esperienza, sono ben contento di farlo. E sinceramente qualche volta sono anch’io a chiedere consiglio a lui. Confrontarsi un po’ in tutti i campi è sempre utile e costruttivo».
Un bilancio secco della tua prima parte di carriera?
«Sono soddisfatto. Sono cresciuto an­no dopo anno, sono partito dal niente e adesso ho cominciato a costruirmi una buona immagine. Sono stato anche fortunato perché ho sempre incontrato gli ambienti e le persone giuste, dalla Androni alla Quick-Step, e questo mi ha aiutato molto. La voglia, però, è sempre quella che avevo da neoprofessionista».
Esprimi un desiderio per questo 2022.
«Vorrei vincere una corsa importante. Se dovessi correre il Giro mi piacerebbe poter alzare di nuovo le braccia al cielo dopo il successo del 2019. Si corre sempre per vincere, ma bisogna saper procedere per gradi. È importante continuare nel processo di crescita che ho intrapreso. Se a fine anno non ho vinto nulla, ma sono cresciuto ancora, sarò contento ugualmente. Magari non avrò realizzato il mio sogno, ma avrò raggiunto l’obiettivo».

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