Ciccone: «Il mio Giro della sfortuna»

di Francesca Monzone

Il Giro d’Italia di Giulio Ciccone si è concluso in modo amaro. Lo scalatore instancabile, l’atleta capace di attaccare dove altri non oserebbero, voleva conquistare un posto importante alla corsa di casa. Ma l’abruzzese si è dovuto arrendere dopo la tappa di Sega di Ala: tutti i sogni e le ambizioni in un attimo sono svaniti.
Una foratura proprio in vetta al Passo San Valentino, la rincorsa nella scia di Nibali e Ghebreigzabhier, qualcuno che scivola davanti, impossile evitarlo in curva ed ecco la caduta. Giulio si rialza, prende a pugni il manubrio della bicicletta per raddrizzarlo, insegue di­speratamente e rientra sul gruppo ai piedi dell’ascesa di Sega di Ala, ma quando comincia la bagarre il fisico presenta il conto e non fa sconti. Cic­cone arriva al traguardo stravolto, si accascia, rifiata ma il dolore al fondoschiena gli rende difficile qualsiasi movimento. Al via di Canazei era sesto a 4’31” da Brfnal e con un ritardo di appena 1’09” da Carthy che sedeva sul terzo gradino del podio.
Massaggi, consulti medici poi la decisione di ripartire da Rovereto. Giulio quella notte soffre, ma vuole restare in corsa, al foglio firma sale sul palco ma nel chilometro che percorrre per tornare al bus prima del via sente di nuovo i brividi della febbre che lo aveva aggredito nella notte, sente i muscoli svuotati e parla con il dottor Emilio Magni e con Luca Guercilena, rispettivamente medico e manager della Trek Sega­fre­do. Alla fine la decisione è quella di fermarsi, scendere dalla bici e guardare la corsa che parte, con la tristezza nel cuore.
Per il ragazzo di Chieti è arrivato il momento più difficile, quello dell’abbandono della corsa che nel 2016 lo ha fatto conoscere in tutto il mondo quando non aveva ancora 21 anni e conquistava la tappa di Sestola. Quel giorno divenne il quarto italiano più giovane di sempre ad aver conquistato una tappa al Giro.
Al Giro poi Giulio ha trionfato anche nel 2019 vincendo a Ponte di Legno la tappa del Mortirolo e portandosi a casa la maglia azzurra di miglior scalatore. Una maglia speciale per lui, cresciuto in una regione di montagne straordinarie.
Quest’anno però non ci sono state vittorie e successi per il ragazzo della Trek Segafredo che ha il rammarico di non aver potuto concludere quella cor­sa tanto amata.
Ripercorrendo il Giro d’Italia di Cic­co­ne, ci sono sempre state parole di ottimismo e speranza, come al termine della sesta tappa, quando dalle Grotte di Frasassi la corsa era arrivata ad Ascoli Piceno. Un test importante quello e le sensazioni di Ciccone erano buone. «È un Giro da correre giorno dopo giorno - aveva detto Giulio -. Ero alla ricerca di sensazioni positive e le ho trovate. È stato un test importante no­nostante la pioggia e il freddo, mi ritengo soddisfatto e non mi aspettavo di essere così brillante». Era arrivato quinto quel giorno, quando a vincere fu Mäder davanti a Bernal, Martin ed Evenepoel.
Al termine dell’ottava tappa, quella con arrivo a Guardia Sanframondi l’abruzzese era sempre sereno e attendeva l’indomani di correre nella sua terra e arrivare tra i primi sul traguardo di Campo Felice.
«È stata una giornata nervosa - aveva detto Giulio -. Mi dispiace per Nibali che è stato un po’ sfortunato. L’ultima salita è stata nervosa ma io, come tutti gli altri, ho cercato di non sprecare energie per l’appuntamento di domani. La condizione è buona».
Se la forma c’era per Giulio, discorso diverso invece per Vincenzo Nibali che, giunto al Giro in forma non perfetta a causa della frattura del polso rimediata il 14 aprile in allenamento, nella corsa rosa ha fatto il pieno di sfortuna ma come un leone non si è mai arreso, onorando la gara fino alla fine, nonostante le sofferenze e le critiche di chi lo avrebbe voluto ancora vittorioso.
Ciccone sulle sue montagne è andato forte e a Campo Felice è stato secondo alle spalle di Bernal, precedendo Vla­sov ed Evenepoel, indicati tra i favoriti per la vittoria finale. Quel giorno cambiò anche la classifica generale e Cic­cone balzò in quarta posizione a 36 secondi da Egan e alle spalle proprio del belga e del russo.
«Accettare un secondo posto quando potevi vincere non è facile - aveva detto l’abruzzese - in particolare quando corri sulle strade di casa e vuoi fare bene. Questa era una tappa difficile nella quale servivano le gambe e io ho dimostrato di averle».
Partito come battitore libero, Ciccone si è trovato ad essere capitano della squadra e ha cominciato a pensare alle grandi salite.
Per lui gli incoraggiamenti e i consigli di Vincenzo Nibali, contento per il risultato del compagno e trasformatosi in gregario di lusso per Ciccone che a Montalcino vive una giornata difficile e scivola in ottava posizione a 2’24” da Bernal.
«È stata una brutta giornata che però può capitare a chiunque in un grande Giro - aveva detto Ciccone dal suo albergo -. Oggi ho pagato, ma la condizione è buona, voglio voltare pagina e ripartire con calma e sono fiducioso per le prossime tappe».
Il 22 maggio arriva un altro test im­portante, quando la carovana rosa deve scalare il monte Zoncolan.
Ciccone perde ancora qualcosa e in classifica è settimo ma le sensazioni sono buone e il ragazzo è fiducioso per i giorni a venire.
«Il bilancio è buono e io sono sereno. Ho deciso di affrontare la salita salendo in progressione e tenendo il mio ritmo, perché per me quella era la tattica migliore».
I grandi giri non si vincono solo con le gambe e bisogna essere bravi ad am­ministrarsi, per evitare di saltare e rovinare il lavoro di mesi interi.
Dopo Gorizia arriva il giorno della Sacile-Cortina d’Ampezzo, la tappa accorciata a causa del rischio maltempo, la tappa delle polemiche con la cancellazione del Passo Fedaia e del Passo Pordoi. Ciccone c’è sempre e la sua fiducia con il suo sorriso non vengono mai meno. A Cortina taglia il traguardo in quarta posizione, con un Bernal che impone ancora la sua legge. Il distacco aumenta ma la situazione è buona e mancano ancora frazioni importanti che decideranno le sorti del Giro.
Il coraggioso abruzzese che vuole fare bene, però ancora non sa che a breve il suo Giro d’Italia finirà.
Martedì 25 maggio è il giorno di riposo, i corridori cercano di recuperare le forze per le ultime giornate le più difficile e che decideranno la corsa. La Trek Segafredo è serena e si prepara all’ultima battaglia.
«Il bilancio è positivo anche se ho avuto qualche momento difficile - confessa Ciccone nel giorno di riposo -. La tappa di Montalcino è stata per me la più difficile, quella in cui ho accusato  una crisi. Nelle ultime giornate di montagna ho trovato buone sensazioni, avremo ancora tre tappe dure, dovrò tener duro e lottare, anche se la stanchezza inizia a farsi sentire».
Il giorno seguente i corridori sono pronti al via di Canazei per andare fino a Sega di Ala con il Gpm di Passo San Valentino e poi la difficile salita fino al traguardo. Ma Giulio cade, riporta traumi alla zona lombare e al polso sinistro, non sta bene nella notte, non vuole arrendersi ma alla fine non può fare altro. Voleva fare bene per se stesso e per tutte quelle persone che avevano sempre creduto in lui. Il ragazzo simbolo del ciclismo abruzzese, che aveva indossato per due giorni la maglia gialla al Tour de France, è co­stretto al ritiro. Le immagini lo ritraggono con un sorriso spento, che na­sconde amarezza e dolore. Ciccone si è dovuto fermare, lui che sognava il po­dio della corsa rosa, a pochi giorni dal­la fine.
Nel giorno più triste, però, Giulio tor­na a casa con una nuova consapevolezza: nella lotta per le posizioni di alta classifica di un grande Giro c’è posto anche per lui.

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