Scripta manent

La giusta versione dei fatti

di Gian Paolo Porreca

Se il ciclismo è stato per noi la parabola di ogni amore, ora che è scomparso Andrea Lo Vecchio, il compositore e cantautore milanese, che ha scritto per sé stesso - così come per i Nuovi An­geli e i Dik Dik, per Mi­na e Shel Shapiro -, se ne va un artista del cuore che davvero poteva illuminarci sulla giusta versione dei fatti della vita.
Se il ciclismo è stato per noi - colpevolmente? - la pa­rafrasi di ogni amore, siamo ancora qui a rammentare di una ragazzina bruna che si chiamava po­niamo Antonella, come ogni capriccio, e che in­dossava un cognome pienamente aristocratico, De­­­smet, già nel racconto modesto che le dedicammo, era il 1971.

Se il ciclismo è stato per noi, quella volta come più di tante altre in vero, la pudica su­blimazione di una delusione, quella An­tonella lì - giovane nobile di città che non poteva le­garsi ad un ragazzo homo novus solo generoso di provincia - evocò miracolosamente nel mio sentimento il volo breve di quel ciclista giusto suo omonimo. Certo, Armand Desmet, il regolarista bel­ga della Faema che nel Giro del ’62 conquistò la maglia rosa a Monte­ver­gi­ne e riuscì a portarla per giorni e giorni, fino a perderla nella tempesta di ne­ve del Rol­le, primo Vin­cen­zo Me­co...
Armand Desmet, e chi può ricordare?, l’inatteso fiammingo, e la sua maglia rosa smarrita fra i tornanti, disciolta come la sua in­­tera squadra, da Van Looy a Van Tongerloo, tut­­ti ritirati, con il solo Hu­­­bertus Zilverberg ri­masto a difenderlo dalla tormenta della solitudine. Armand Desmet, alone again come quel liceale che eravamo noi allora, e che a quella ragazza dedicavamo il bene acerbo e straziante che un Armand Desmet poteva dedicare alla sua maglia rosa sfiorita...

E c’era allora, dovete sa­pe­re, una canzone che re­citava perfetta per noi, veniva l’estate, ed era Ho perso il conto, di An­drea Lo Vecchio appunto, coautore Roberto Vec­chio­ni, interpretata da un ragazzo malinconico, di buone speranze, si chiamava Rossano Atto­li­co.
«Ho perso il conto di chi ho rimpianto, e ricomincio e dentro spero sempre un po’. Ho perso il conto, e quella giusta sai potevi es­sere tu...», e ne resta tuttora incredibile e dolorosa la storia successiva. Già, quel brano venne eliminato senza riscontri al “Di­sco per l’Estate” di quell’anno, 1971. E il suo cantante, Rossano Attolico, mai risolta quell’amarezza, una carriera scivolata di ro­vescio in rovescio, fu tro­vato morto in una stanza di albergo, a New York qualche anno dopo.

E noi ci disperavamo, co­me Armand De­smet che assisteva, da decimo, alla vittoria finale di Franco Bal­mamion, la prima del corridore piemontese, senza aver mai conquistato una tap­pa, nel Giro d’Italia. E avremmo continuato a perdere il conto dei giorni e delle notti su­perflue, come sep­pe scrivere ancora Andrea Lo Vec­chio. Fino ai trenta an­ni ed ol­tre, in fondo fi­no ad oggi. Trenta anni, 1973, “i me­diocri sono tanti, quelli vanno sempre avanti”. Alla ricerca della giusta versione dei fatti. E non c’entra nulla Balma­­mion.

Ps. Ho perso il con­to, con il testo cambiato, senza più Rossano, sarebbe di­ventata Luci a San Siro, prima gloria per Roberto Vecchioni. Nell’album “Parabola”, 1971.

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