Aru plebeo
di Cristiano Gatti
Mentre ancora nel 2021 procediamo con il cancellino, aggiornando di settimana in settimana la lista nera delle corse saltate, nella sinistra sensazione che soltanto quelle grosse reggeranno il continuo urto del Covid, mentre cioè si procede comunque in un tunnel cupo e tenebroso, almeno una certezza l’abbiamo: non si sa dove, non si sa come, ma tra quelli che correranno avremo ancora Fabio Aru.
Mi pare sia davvero questa la prima notizia - buona, come no - della stagione. Il nuovo Nibali, ormai non più nuovissimo perché si avvia ai 31 anni, ha superato la grave crisi esistenziale dell’ultima annata fallimentare e ha deciso di affrontare la sfida estrema, la sfida più dura e faticosa: ripartire da capo.
Di tutte quelle che aveva davanti, questa è certamente la salita più ripida. Persino più ripida di un mesto ritiro, stante la lunga sequela di musate delle ultime stagioni. Niente: è comunque sardo, la tenacia prevale sullo scoramento. E via con un nuovo inizio. Già alla partenza della spedizione si ritrova con uno zaino più leggero: meno obblighi, meno pressioni, di conseguenza meno soldi. Squadra diversa, ambiente diverso, obiettivi diversi. In definitiva, l’obiettivo è uno solo: non tanto vincere questa o quella corsa, ma diventare di nuovo un corridore decente.
Lo dico e lo ripeto fino alla noia: non è per niente facile, come sfida. Aru non riparte da capo per vegetare nel modo più anonimo - e più assurdo - negli scantinati del gruppo, ma per riemergere tra i primi della classe. Magari non come nuovo Nibali (ormai non fa più a tempo), ma come Aru vero.
In fondo, l’obiettivo è tutto qui: tornare nella piena dignità agonistica, dove da troppo tempo non riesce a stare. Naturalmente, non è neppure più il caso di stabilire quanto campione sia Aru, se sia vero o presunto, se sia quello che giganteggiava da ragazzo o quello che arrancava negli ultimi anni. Io mi limito a dire, sulla base del semplice buonsenso, che Aru magari l’abbiamo sopravvalutato definendolo nuovo Nibali, ma di sicuro Aru non è quello che dopo ottanta chilometri viaggia già a cinque minuti dalle scartine. C’è un Aru di mezzo. Ed è questo Aru di mezzo che da subito Fabio deve cercare, ritrovare, ripristinare. Sarebbe già una bella vittoria.
Di sicuro, la sua nuova sfida merita rispetto. Io sono tra quelli che dopo l’ennesima bancata del 2020 ritenevano sensato anche un decoroso addio. Ma siccome Fabio ha deciso di rischiare un’altra volta, sono qui a complimentarmi. Cerchiamo di essere tutti sinceri: non è mai semplice ricominciare da capo. Dal fondo. Soprattutto per chi ha provato certe quote (parlo di altitudini del successo, non di scommesse). Quando c’è motivazione, entusiasmo, coraggio, è facile volare in alto. Quando c’è delusione, pessimismo, paura, si punta in picchiata verso il basso. Ciascuno di noi l’ha provato sulla propria pelle e nella propria vita. E purtroppo è proprio da lì che deve ripartire Fabio.
«Ero abituato al motorhome, ora affittiamo un furgone e ci si lava con la pompa in un cortile. Mi sono pure comprato le bici, ma non perché non me le fornivano, ma per semplicità, perché quella nuove non sarebbero arrivate entro breve. Così siamo partiti con questa avventura che richiede organizzazione e competenza, quindi sono supportato da uno staff di persone fidate. Una palestra di vita». Così Fabio ha raccontato i suoi primi passi, giù dal passeggino, nella seconda vita. Come sappiamo, primi passi nel fango delle sue origini ciclocrossistiche. In un certo modo, in un certo senso, è un ritorno metaforico: alla terra, all'essenziale, non a caso definito in economia settore primario.
Gli va riconosciuto: l’inizio è promettente. E non parlo certo dei risultati: parlo di come s’è guardato allo specchio e di come si è accettato, nelle nuove vesti del plebeo sportivo. Come si usa dire, rimettendosi in gioco e rimettendosi in discussione. L’importante è che conosca davvero questo strano gioco, che come quello dell’oca l’ha riportato alla casella uno, e ne accetti le dure regole, con nuove fatiche, nuove prove, certo anche nuove batoste. Ma rimettersi in discussione è semplicemente questo: accettare la discussione, cioè il confronto imprevedibile con la realtà. Perché se invece si parte con la certezza di essere comunque sempre nel giusto e nella ragione, non si va molto lontano. Il gioco finisce in fretta, si torna rapidamente alla casella zero. Una volta per tutte.