Colpa mia, merito del ciclismo, colpa del calcio se non ricordo una trasferta che è una al seguito di squadre calcistiche, o anche per grandi corali manifestazioni del pallone, come un campionato mondiale, un campionato europeo, e ricordo invece quasi tutte le trasferte al seguito del ciclismo? Colpa mia, merito del ciclismo, colpa del calcio se non riesco a prolungare nella memoria le giornate del giornalismo calcisticio a un “dopo” per ognuna di esse, e se invece ho tutto chiaro del “dopo” delle corse, mettendomi d’impegno potrei ricordare di ogni giorno della bicicletta cosa mangiai per cena, cosa feci, dove e con chi?
Non posseggo la risposta. Prendo nota anche di questo me stesso, e naturalmente voglio al ciclismo un bene sempre più forte e spesso anche per questa ragione. Perché io di ogni serata del mio vivere al seguito delle bici ricordo tutto, tuttissimo. In maniera quasi inquietante. E attenzione: con il calcio sono andato in posti favolosi, ad esempio tanto Messico, ho potuto visitare la misteriosa Islanda, ho girato il Nordamerica. Con il ciclismo la mia Italia, si capisce, una Francia quasi sempre di paese, il Belgio dal clima perfido, campionati mondiali bruttocci negli Usa come in Giappone. Ma dico di più: come sensazionalità di eventi e fascino dei posti ho nel mio diario di lavoro ventidue edizioni dei Giochi olimpici, compresa Atene però seguita senza stare addosso alle cose sportive: ma anche la memoria olimpica è sconfitta da quella ciclistica. Però non voglio ampliare la gerarchia, il confronto, perché i Giochi sono in realtà un mondo esclusivo e autosufficiente, coprono tantissime ore del giorno, sono assorbenti, esclusivi, insomma specialissimi, e si finisce per vivere a Sydney come a Seul.
No, io parlo soltanto di trasferte giornalistiche in cui ad una certa ora si stacca e si va in giro per una città, una cittadina, un paesone. E se l’evento, come in certi casi accade per il calcio, è serale, c’è allora la mattina libera, e spesso è libero anche il primo pomeriggio. Come mai mi sembra che al giornalista calcistico non sia accaduto nulla di interessante fuori si capisce dal lavoro, mentre quello ciclistico deve persino fare fatica a separare gli eventi affascinanti dal lavoro da quelli del “dopo”, tanto alta è l’intensità di entrambe le entità, tanto alto è l’affollamento di entrambi i mondi?
Non so perché ricordo tutto della mia serata in una città del Tour de France, e niente della mia serata in una città della Coppa dei Campioni. Che la prima sia a Tolosa la seconda a Madrid, non conta. Tolosa è per me il bar dove bevvi diciassette pastis all’anice, im omaggio al 17/9/35 della mia data di nascita, per dialogare a mente libera in latino con un francese professore di liceo, e appresi che il pastis con la correzione alla menta si chiama perroquet, pappagallo, e quello con la correzione alla granatina tomate, pomodoro. E c’erano al tavolo vicino dei giornalisti francesi, un arabo venditore di tappeti li avvicinò, un giornalista chiese il prezzo di un tappeto, l’arabo sparò una cifra, il giornalista gli disse di fare un bel giro per la città cercando di venderlo a qualche sprovveduto, e casomai di tornare da lui se avesse voluto realizzare una cifra cinque volte inferiore, e l’arabo gli disse: “Monsieur, perché devo fare un lungo giro?, mi dia i soldi che mi offre e va bene così”, e il giornalista troppo spiritoso dovette comprare il tappeto e visse infelice e scontento, perché certo che se anche avesse offerto la decima parte di quanto chiestogli il tappeto sarebbe divenuto suo.
Come mai ricordo tutto dell’attesa, in un paesino del Finistere, che arrivasse al Tour, aggregandosi proprio quella sera, il grande Gianni Brera, e non ricordo cene intere con lui a Tokyo, a Barcellona, per trasferte non di ciclismo? Come mai ricordo la spiaggia di Pescara al Giro d’Italia e non quella di Los Angeles alla Coppa calcistica del Mondo del 1994?
Come mai ricordo lo sciamare dentro Sanremo dopo la Classicissima che anticamente era quasi sempre il giorno di San Giuseppe, e la sera a sfidare la roulette, e non ricordo una sera che è una a Guadalajara, che pure è bellissima città messicana allegra e fiorita, e ci giocavano la Francia del mio amico Platini e il Brasile del mio idolo, perché a lungo calciatore del Torino, Junior?
Del ciclismo inteso come trasferta ricordo persino il fare e il disfare la valigia, del calcio inteso come trasferta neanche se si trattava di valigia o borsone. Dalle trasferte ciclistiche rientravo carico di paté francese, salumi belgi, liquori spagnoli, formaggi olandesi, da quelle calcistiche non ho mai portato a casa niente, anche se andavo negli stessi paesi.
Perché nelle trasferte ciclistiche ho sempre portato con me dei libri, e li ho pure letti, benché l’impegno di lavoro fosse lungo e teso per quasi tutta la giornata, mentre nelle trasferte calcistiche, che pure il giorno della partita impegnano soltanto per l’ora e mezza del gioco, tutto il lavoro si apre e si chiude lì, io finivo sempre per sbranare di attenzioni, onde prendere sonno, i giornali locali, se pure erano in una lingua a me accessibile?
Non lo so, non lo saprò mai. E non voglio proprio saperlo. Certo che mi sembra di avere abitato il ciclismo, e quanto al calcio mi sembra di averlo soltanto viaggiato. Eppure ero partito da un amore per il calcio inteso come Grande Torino superiore all’amore per il ciclismo inteso come Fausto Coppi. Dice Catullo a proposito dell’odio e dell’amore che lui contiene nel suo animo, nel suo cervello, nel suo cuore: odio e amo, non so perché, ma so che accade e me ne cruccio. Mi scuso di eseguire un accostamento blasfemo, ma voglio dire che anche io non so perché, comunque non è amore contro odio, è amore contro altro, non so perché, ma non me ne cruccio troppo. Anzi.
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