Pinot, il sogno infranto dell'italiano di Francia

di Pier Augusto Stagi

Neanche al via da Bruxelles avrebbe immaginato un fi­nale così. Dopo i Pirenei si era convinto di poter lottare finalmente fino alla fine per la vittoria nel Tour de France. Invece, sul più bello, al mo­mento di scalare le sue Alpi, deve ar­rendersi. Fatica nella tappa del Ga­li­bier, si arrende l’indomani molto prima di arrivare all’Iseran.
Sale lentamente sull’ammiraglia, con le mani si copre il viso, per nascondere lacrime che non possono essere nascoste. Poteva essere il primo francese a vincere il Tour 34 anni dopo Hinault. Ma il 26 luglio 2019 dà un verdetto implacabile: non succederà. Pinot si ritira dopo 36 km dal via in preda al dolore. «La più grande delusione della mia carriera», dirà.
A fermarlo una lesione mu­scolare alla coscia sinistra, nella zona del vasto mediale. È lui che alla fine rivelerà che verso Gap, per evitare una caduta, ha battuto contro il manubrio e ha cominciato a sentire dolore. Dopo il primo tappone alpino faticava a camminare. France TV ha mostrato le immagini girate quella sera con il ventinovenne francese della Groupama Fdj che si faceva assistere dal medico e cercava di recuperare.
Niente da fare, tutto finito. Il braccio sulla spalla che gli ha messo il compagno Bonnet sarà una delle immagini simbolo di questo Tour.
«Dopo avere vinto sul Tourmalet avevo cominciato a credere alla maglia gialla di Parigi. Ero convinto che questa vol­ta non avrei avuto ostacoli», spiegherà qualche ora dopo il corridore transalpino sfinito e vinto.
Non gli è girata per il verso giusto. Ed è da un pezzo che la sorte si sta prendendo gioco di questo ragazzo buono e gentile. Dal Tour si era già ritirato nel 2013, 2016 e nel 2017. Al Giro aveva perso il podio nell’ultima crono (2017) e l’anno successivo di nuovo il podio finale era a portata di mano quando tutto cambia nella penultima tappa, a Cervinia: Pinot arriva ad oltre 45 minuti, vomitando l’anima sulla linea d’arrivo. Invece di partire per Roma, viene ricoverato all’ospedale di Aosta per febbre e disidratazione.
C’è chi sostiene che sia un ottimo corridore, con dati fisiologici importanti e che in questo ultimo periodo sia anche cresciuto molto, ma ha un punto debole: la testa. Non regge la pressione. Quando percepisce che è troppo forte e che può essere arrivato davvero il suo momento, lui si spegne. Qui e questa volta, invece, sembra proprio uno scherzo del destino: un problema muscolare che l’ha messo in ginocchio.
Quella dell’Iseran doveva essere la sua tappa, non è neppure arrivato al traguardo. È tornatoo a casa, a Melisey, neppure 2.000 abitanti nella regione della Borgogna-Franca Contea. Per dirla con lui, si rilasserà a si leccherà le ferite con i suoi 35 animali: «Pe­core, capre, vacche. Ce n’è da fare». Ama la tranquillità, la pace. Anche se adesso il francese che ama l’Italia di pace nel suo cuore ne ha ben poca. L’amarezza è tanta, ma la sua campagna è balsamo per l’anima di un ragazzo semplice, che ama pescare e stare a contatto con la natura: fare il miele.
Il capitano della Groupama Fdj fino Alpi aveva dimostrato di essere chiaramente il più forte in salita del gruppo. Aveva alzato le braccia sul Tourmalet, davanti al presidente della Repubblica Macron. Sull’inedito traguardo in quota di Foix-Prat d’Albis è arrivato secondo a 33” dal fuggitivo-vincitore Simon Yates. «Quando stai bene, bisogna approfittarne», aveva detto in quei giorni. «Riguadagnare tempo era la cosa più importante, la mia rimonta è cominciata e le Alpi, con i giorni più impegnativi, sono in arrivo».
Non poteva immaginare che le sue Al­pi l’avrebbe respinto brutalmente, sen­za pietà. Pensava di aver già dato, Ti­baldo. Pensava di aver già pagato pe­gno con la Dea Bendata, visto che 1’40” li aveva persi solo nel ventaglio di Albi. «Una giornata di m…», disse. Ma ce ne sarà un’altra, lui questo non poteva saperlo, ma soprattutto non se lo meritava. Il ciclismo è sport carogna, per non dire bastardo.
Thibaut Pinot è un corridore di talento, per la Francia chiaramente un predestinato su cui in tanti ripongo speranze. Tour 2012, appena ventiduen­ne, vince una tappa e chiude decimo nella generale: non male. Certo, direte voi, non male ma ora che un ven­tiduen­ne vince il Tour, cosa si dice? Che Bernal è appunto un fenomeno, non solo un predestinato. Certe cose succedono poche vol­te nella vita e noi le abbiamo viste.
Pinot è il più italiano dei francesi: ama il nostro Paese, da Under 23 vin­se il Giro della Val d’Aosta e, da giovane prof (2011), la Settimana Lom­bar­da. Per il tatuaggio «solo la vittoria è bella» ha scelto l’italiano. Ama anche il calcio e tifa Paris Saint Germain, ma sempre per un amore profondo che nutre per il nostro Bel­paese non disdegna trasferte da noi per assistere a partite di cartello come il derby della Ma­donnina.
Per non parlare delle volte che ha in­cro­ciato la strada di Nibali: terzo nel Tour 2014 dominato dallo Squa­lo, che lo ha battuto nei Lom­bardia 2015 e 2017 (terzo e quinto il francese), salvo arrendersi nell’ultima edizione per quello che è stato il primo Monu­mento vinto da Pinot.
Dicono che di testa sia fragile, perché fin troppo buono e sensibile. Alla vigilia della partenza di Bruxelles, in una lunga intervista all’Equipe, aveva parlato del suo grande sogno e di quell’eventualità di poter vincere il Tour de France 34 anni dopo Bernard Hinault: «Ma per me non è un’ossessione. Amo la mia vita così com’è. È la vita che so­gnavo, ma so che se arriverò a Parigi in maglia gialla dovrà cambiare. Io voglio cambiare vita? No. Il primo francese che conquisterà il Tour dopo Hinault non diventerà una star. Io sono un ra­gazzo di campagna, che ama la pace e i suoi animali».
Sarebbe stato bello vedere questo ra­gazzo di campagna in maglia gialla sul podio di Parigi. Ci sarebbe piaciuto abbracciarlo a nome dell’Italia che l’ha adottato e lo ricopre di un amore corrisposto.
Sarà per il prossimo anno. Senza ossessioni, con calma, come quando i contadini preparano la terra per la semina. Non c’è fretta: bisogna solo aspettare, sperando che il tempo sia buono.

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