
di Pier Augusto Stagi
Alla fine, anche lui che di trofei in bacheca ne ha a sufficienza, avrebbe voluto fare qualcosa di più. Vincenzo è un agonista nato, non corre mai per il piazzamento, anche se non è folle e sa benissimo che quando si corre si è sì soli, ma si rappresenta un team e un gruppo di lavoro. Alla fine ha accettato il verdetto, come solo i grandi sanno fare. Ha anche ammesso i propri errori, ma ha riconosciuto il valore di Richard Carapaz, che questo Giro l’ha vinto con pieno merito.
Certo, Nibali lo dice con grande lucidità e senza tanto girarci intorno: «Avrei voluto arrivare alla crono di Verona per giocarmi la vittoria, non il podio». E poi ancora: «C’è stato anche qualche sbaglio, chi non ne fa?». Quindi, cosa si fa: s’infierisce? Io mi limito a ringraziarlo, per quello che ha fatto, per quello che mi ha regalato. Per l’ennesimo grande Giro corso da protagonista assoluto. Avercene di Nibali.
PAURA. Quando Vincenzo si stacca sul Manghen il senso di mestizia è profondo. Quella che doveva essere la tappa del riscatto, del ribaltamento, rischia di diventare un lento de profundis.
«Avevo forato sulla prima salita - racconta il siciliano - in un momento tutt’altro che bello. Per fortuna avevo mio fratello Antonio lì accanto, che stava provando ad andare in fuga con Caruso. Mi ha passato la ruota. Quel giorno siamo partiti a tutta, ad un ritmo davvero folle. Il Manghen è stato fatto a manetta: io sono salito più regolare. Voi vi siete preoccupati? Io no. Mi conosco, so quello che sono e quello che posso fare: esco sempre alla distanza».
COURMAYEUR. Il vantaggio dato a Carapaz. Quel marcarsi con Roglic che ha prodotto nervosismo e tensione, annebbiando le menti, non è stata una buona idea. «Sono d’accordo ma solo in parte. Non siamo stati stupidi a farlo avvantaggiare. È stato bravo ad attaccare in contropiede. In discesa io e Roglic abbiamo tirato, poi sulla salita finale Carapaz da solo ha avuto buon gioco contro di noi che inseguivamo. La verità è che quel giorno, nonostante fosse solo, ha avuto una gran gamba. E credo che i meriti di Richard siano stati superiori ai nostri demeriti».
NON HO L’ETA’. Ha voglia di correre e gareggiare come un ragazzino, forse anche di più. E io che lo conosco fin da quando era ragazzino, posso assicuravi che non è assolutamente cambiato. Lui in bicicletta si diverte come un bimbo. Quindi, se gli si fa la domanda sui suoi 35 anni che sono fuori dall’uscio, lui si schermisce e rimanda la illuminante teoria al mittente.
«L’unico problema è un po’ la schiena, che alle volte fa i capricci, ma non vedo l’età come un limite. Io, Froome, i nostri coetanei: siamo seri professionisti, teniamo a noi e al pubblico. In ogni caso sono felice del mio Giro, anche per un’altra questione. Dopo la frattura della vertebra, avevo qualche dubbio. La domanda ricorrente era: riuscirò a tornare a lottare per la vittoria in un Grande Giro? Alla Vuelta dello scorso ho sofferto molto, avevo ben più di un fastidio. Non ero proprio così sereno e sicuro. Il secondo posto al Lombardia in parte mi aveva confortato, ma è pur sempre una corsa di un giorno. Una corsa di tre settimane è ben diversa e questo secondo posto è importantissimo per me. Significa che sono ancora io, che sono restato a livelli alti, e sono sicuro che potrò restarci ancora un po’: non credo sia l’ultima volta che mi avete visto lottare per una maglia così importante».
CALORE. Se prendiamo l’applausometro, Vincenzo Nibali ha vinto per distacco e a mani basse. Un solo pullman, quello della sua Bahrain-Merida, ogni mattina era davvero il centro del villaggio. Centinaia di tifosi che si accalcavano per aspettare l’uscita di Vincenzo, che alla fine li ripagava tutti con autografi e selfie.
NUMERI. Solo quando avrà smesso, comprenderemo fino in fondo la grandezza di questo atleta. Un corridore che ha saputo regalare tantissime emozioni, e molte di queste le ha anche tradotte in grandissime vittorie. Da Verona 2010, terzo alle spalle di Basso e Arroyo, a Verona 2019, secondo dietro a Carapaz. Per Vincenzo sei podi nelle ultime sei partecipazioni al Giro (record, nessuno come lui), a 11 podi nei tre Grandi Giri (Anquetil 13 e Gimondi-Merckx-Hinault 12, gli unici che lo precedono).
IL SOGNO. Su 51 vittorie ottenute in carriera, almeno cinque testimoniano imprese degne di questo nome, che hanno in pratica ribaltato ciò che sembrava ormai scritto e passato agli archivi. Anche quest’anno, fino alla tappa di Monte Avena, tutti noi ci abbiamo sperato. Con più o meno entusiasmo. Chi lo gridava ai quattro venti, e chi se lo portava semplicemente nel cuore, come una speranza remota mai svanita. Vi ricordate la Tirreno-Adriatico 2013? Nibali contro Froome e Contador. A due tappe dalla fine, con Froome leader e 20” di vantaggio, Vincenzo trasforma i Muri marchigiani al 22 per cento in un campo di battaglia senza esclusioni di colpi. Sulla sua strada trova un suo caro amico, Peter Sagan e ribalta il britannico a Porto Sant’Elpidio, sotto il diluvio in un clima da tregenda. Sempre quell’anno, il Giro d’Italia. Il giovane Fabio Aru guida Nibali sulle durissime rampe delle Tre Cime di Lavaredo, la salita dolomitica che rese grande anche Merckx. Sotto la neve Vincenzo, che potrebbe già accontentarsi perché è in rosa, conquista una delle salite più prestigiose. E poi c’è quel bellissimo viaggio sulle strade di Francia, datate 2014. Lo Squalo è in maglia gialla, e tre giorni dopo la vittoria di Sheffield, arrivano le strade della Roubaix. È il capolavoro della tappa dell’Arenberg: Froome alza bandiera bianca prima di entrare nell’arena e si ritira, Contador perde 2’54”.
Poi, in tempi più recenti, c’è il ribaltone del Giro 2016: grazie a Michele Scarponi nella terz’ultima tappa. Quarto in generale, sfiduciato e avvilito come pochi per un Giro di sofferenza e dolore (alla partenza aveva pianto la perdita del giovane Rosario Costa, uno dei ragazzi del suo vivaio, ndr) Nibali vince a Risoul la tappa del Colle dell’Agnello. Porta in discesa all’errore l’olandese Kruijswijk (perde il controllo e finisce in un muro di neve), e il giorno dopo a Sant’Anna di Vinadio si veste di rosa. E la Sanremo di un anno fa? Vince alla Fondriest e alla Saronni. Via di forza e nessuno più lo prende. In molti speravamo in un colpo d’ala, in un guizzo d’autore. Purtroppo la strada non ha dato la giusta ispirazione al nostro fuoriclasse.
LEGGENDA. Che Dio ce lo conservi, questa è la verità. In attesa che ritorni il vero Fabio Aru, che è ancora convalescente dopo l’operazione alla arteria iliaca femorale, teniamoci stretti Vincenzo. Aggrappiamoci alle sue spalle e lasciamoci condurre per il mondo, vagando su cime e discese ardite.
Vincenzo Nibali, che con i suoi 34 anni resta l’unica nostra certezza per i Giri. E alla luce dell’ultima crono di Verona sorge spontanea una domanda: come sarebbe andata a finire se a Ceresole Reale e Courmayeur, il siciliano e lo sloveno Roglic non si fossero annullati con una marcatura a uomo autolesionista? È lì da vedere: Nibali ha chiuso meglio sia di Roglic, sia di Carapaz, che gli ha concesso quasi tre secondi a chilometro.
TOUR. Adesso andrà in Francia, senza ossessioni di classifica. Senza il dovere di arrivare ancora una volta sul podio, «perché questo Giro è stato molto duro e faticoso. Non credo che farò classifica. La mia idea sarebbe quella di puntare alle tappe e magari alla maglia a pois degli scalatori. Ma è chiaro che dovrò confrontarmi con il team, con il mio staff tecnico. Metteremo sul tavolo tutto e poi faremo una sintesi».
A questo punto, anch’io sintetizzo il mio pensiero: Carapaz è chiaramente una storia bellissima da raccontare, Nibali è la storia.