Davide Formolo: «Cambio posizione per vincere»

di Giulia De Maio

Eterna promessa non vuole che diventi un appellativo adatto a lui. Uno che di so­prannome fa “Roccia” ha la testa dura e non può che pretendere che il suo sesto anno tra i professionisti sia «quello buono». Davide For­mo­lo ci crede, anche se l’autostima è forse il suo tallone d’Achille.
Sempre sorridente e felice del suo lavoro, vorrebbe finalmente dimostrare quan­to vale nel corso delle tre settimane. Lui che è sempre stato indicato co­me un predestinato per i Grandi Giri. Dopo una vittoria di tappa alla corsa rosa, un nono posto alla Vuelta e dopo es­sersi piazzato due volte decimo al Giro d’Italia vuole accorciare le distanze con i migliori in lotta per la clas­sifica generale.
Dopo le vacanze in Ca­lifornia con la mo­glie Mirna e i ritiri al caldo con i compagni della Bora Hans­gro­he, dal 1° febbraio è a Sierra Nevada, a 2.500 metri di altitudine per preparare la stagione che sta per iniziare.
L’esordio è fissato all’UAE Tour il 24 febbraio.
«Esatto. Cominciare in Europa comporta il rischio del freddo mentre negli Emirati Arabi ci si potrà concentrare sulla base da costruire. Seguiranno poi Tirreno-Adriatico, Giro di Catalogna, Freccia Vallone e Liegi-Bastogne-Liegi. Poi il Giro e, nella seconda parte di stagione, Polonia e Vuelta. La preparazione è an­data bene: ho trascorso 20 giorni di ritiro a Maiorca a dicembre, mentre a gennaio sono stato alle Canarie. Ab­bia­mo svolto un buon lavoro. Mi sento pronto per ripartire».
Le vacanze sono ormai un ricordo.
«Sì, già che ero in California con la squadra per un primo ritiro, mi sono fatto raggiungere da Mirna per una settimana di vacanza lì e un’altra a Santo Domingo. A Natale, lo confesso, ho fatto rifornimento di pearà (salsa tipica veronese che accompagna il bollito mi­sto, ndr) a casa dei miei a San Rocco di Marano di Valpolicella. La rivedrò tra un anno, l’occasione andava sfruttata».
Anche a Monaco non te la passi male.
«Per niente, anzi per andare in bici la Riviera è l’ideale. Quando durante le feste ero dai miei e dovevo uscire in bici con un freddo becco, sfidando la nebbia e il termometro che segnava -5°, alcuni amici da Sanremo mi mandavano le foto dei loro computerini che seg­navano 15° gradi. Non vedevo l’ora di tornare».
Mirna cucina un sacco di cose buone... «Due anni fa ha frequentato un corso di pasticceria, le piace stare ai fornelli. Visto che devo restare in linea, sta cercando di abbinare i piatti più sfiziosi a quelli più salutari, proponendo delle ricette light da leccarsi i baffi. Fa una cheesecake proteica nella quale la ri­cotta prende il posto del mascarpone e la stevia rimpiazza lo zucchero. È un ve­ro spettacolo».
Hai cambiato preparatore: dopo l’esperienza con Piepoli ora ti affidi a Vila.
«Patxi è una figura interna alla squadra e anche lui è un ex corridore, ci sa fare con noi atleti perché in fondo è uno di noi. Rispetto alle passate stagioni sto lavorando di più in palestra, soprattutto per cercare di sistemare il ginocchio sinistro che si muove troppo e mi dà qualche problema.
L’anno scorso mi ha fatto tribolare sullo Zoncolan, nel 2017 mi ha messo in croce in 3-4 tappe, procurandomi anche disturbi alla schiena. Dob­biamo stabilizzare maggiormente la gamba».
Avete rivoluzionato la posizione in bici.
«Stiamo seguendo il “metodo Spe­cia­lized”, mi ci è voluto un po’ per adeguarmi. L’anno scorso sono stato te­star­do e ho voluto continuare con le misure a cui ero abituato, ora Patxi si è impuntato quindi ho ceduto. Siamo sta­ti nella galleria del vento della Spe­cialized a San Francisco per studiare la migliore soluzione sia per la bici da strada che per quella da cronometro. Il manubrio ora è più alto, la posizione più aerodinamica. La sto provando or­mai da tre mesi, negli sforzi brevi ren­de di sicuro di più. Uso maggiormente i muscoli della coscia quindi sono più esplosivo e reattivo, vedremo sulle lunghe distanze, in particolare nella terza settimana dei grandi giri, se sarà altrettanto efficace».
Una figura nuova che ti affianca è quella dello psicologo.
«La squadra ci ha messo a disposizione questo specialista tedesco con cui stiamo iniziando a lavorare. Ogni corridore ha bisogno di concentrarsi su qualcosa: c’è chi è super avanti con l’autostima, chi ne ha troppo poca, chi deve imparare a convivere con i sacrifici e lo stile di vita che impone il ciclismo... Io? Pecco un po’ nell’autostima, co­me di­ce Patxi devo credere di più in me. Ho letto che su tuttoBICI di gennaio vi ha detto che il 2019 sarà il mio anno. Speriamo abbia ragione».
L’obiettivo per il Giro d’Italia?
«Per ora, realisticamente, non posso ambire ad un risultato migliore di un quinto posto. Spero tanto in una vittoria di tappa. Nel 2018 ho raccolto tutti i piazzamenti possibili nei primi dieci, salvo il primo. Questi risultati dimostrano costanza di rendimento ma nessuno li ricorda. Più che il risultato finale dell’anno scorso, mi dà fiducia come ho corso. Dopo la caduta sull’Etna so­no andato allo sbaraglio, ho continuato senza puntare alla classifica. Mi manca uno scalino per chiudere il gap con i pri­mi, spero di riuscire finalmente a colmarlo».
La concorrenza sarà di primissimo li­vello. Al via troverai Nibali, Dumou­lin, Val­verde, Aru, Lopez, Bernal, Yates, Ro­glic, Landa, Jungels, Mol­lema, probabilmente anche Geraint Thomas.
«Tranne Froome e Quintana, ci sono tutti. Per mia fortuna le crono non so­no piatte. Ho studiato il percorso, non vedo l’ora della Lovere-Ponte di Legno con Gavia e Mortirolo. E prima, Pre­sa­nella e Croce di Salven».
Facciamo un gioco. Se potessi rubare una cosa a Nibali, Dumoulin e Valverde, quale sarebbe?
«A Nibali invidio la leggerezza che può provare solo un campione già affermato, che contrasta con la pressione di un giovane che ha ancora tutto da dimostrare. A Dumoulin prenderei la serenità. Al Giro che ha vinto due anni fa, ha superato un momento come lo “stop bagno” forzato prima dello Stel­vio con una tranquillità encomiabile, qualsiasi altro corridore sarebbe saltato di testa. Di Valverde mi lascia sbalordito la caparbietà, ammiro la sua fa­me e lo spirito con cui affronta ogni gara. Nonostante l’età, parte sempre per vincere. È un idolo».
Alla corsa rosa al tuo fianco probabilmente ci sarà Majka.
«Rafal è della scuola di Contador, uno che dava il via libera al compagno quan­do lui non ne aveva bisogno. È cre­sciuto con questa mentalità e in guerra è meglio essere in due piuttosto che da soli. Partiamo alla pari, vedremo la strada cosa deciderà. In 21 giorni può succedere davvero di tutto. Meglio avere due carte che una sola da giocare».
Ivan Basso, che ti ha visto agli inizi alla Liquigas, aveva detto che entro pochi anni avresti vinto un grande giro. Cosa ti è mancato finora?
«Un po’ di solidità e un po’ di tranquillità per rendere al meglio. Faccio un lavoro che mi piace da matti e ho davvero tanta voglia di arrivare. Forse non lo faccio vedere, ma questa foga mi fa vivere più stressato di quanto dovrei».
Davide Cassani dice che devi imparare ad avere sangue freddo e a gestire meglio la corsa.
«Lo ha detto in seguito alla caduta sull’Etna nel 2018 quando andai nel panico. Mai mi era capitato in carriera e spero proprio resti un episodio isolato. Per il resto, il CT ha ragione e Patxi Vila è della stessa opinione tanto che, come detto, con lo psicologo stiamo la­vorando su questo aspetto, sul come gestire situazioni difficili e stress, sul come fare più squadra».
Corsa dei sogni?
«La Liegi. L’ho disputata due volte e sono andato bene, rischiando di vincerla. La Freccia, invece, l’ho corsa al mio primo anno da prof ed è già stato tanto finirla».
A 26 anni Roccia è abbastanza maturo da...
«Non lo so. Non mi sono ancora spuntati i denti del giudizio e nemmeno la barba (ride, ndr). Battute a parte, è da questa età che si inizia ad avere una maturazione adeguata per disputare un grande giro ad alti livelli.  Sono sempre vicino al top, prima o poi ci arriverò. Voglio essere costante e fare tutto con il sorriso. Più sei felice più i risultati arrivano».

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