Faccio io da cavia
di Gian Paolo Ormezzano
I l collega e ciononostante amico, grande amico, che si chiama Beppe Conti e diffonde la storia del ciclismo in televisione con chiarezza giornalistica, rigore statistico e affetto insieme, mi ha chiesto per una delle sue molte pubblicazioni (è una pila umana del giornalismo, della scrittura ciclistosa: sensazionale la sua ultima creatura, Le salite più belle d’Italia, Rizzoli, con Davide Cassani proprio lui) di elencare i dieci ciclisti a parer mio più grandi di tutti i tempi.
Il giochetto è antico ma ancora in (buon) uso, non fa male a nessuno, diverte, stimola la memoria. Evito qui di fornire il mio elenco personale con i ciclisti allineati da me, per Conti, in ordine di presunta grandezza, ovviamente secondo il mio parere, per non togliere neanche un lettore all’opera prossima ventura del mio amico. Mi limito a dire che ho segnalato Binda, Coppi e Bartali per l’Italia, Anquetil e Hinault per la Francia, Merckx e Van Looy per il Belgio, Indurain per la Spagna, e…
E ancora per l’Italia Maspes, per gli Stati Uniti Armstrong. Con qualche scusa silente allo slovacco Sagan.
Conti non mi ha sgridato, dunque concorda o quanto meno capisce. In brevissimissime motivazioni (mi ha concesso una riga e stop a testa) ho precisato che Maspes ci ha messi in pista (l’ottica della scelta è si capisce italiana), giocaccio di parole per dire che ha chiesto attenzione al suo regno. Di Armstrong ho scritto che il prodotto con cui lui si dava forze extra dovrebbe essere divulgato e dato a malati, vecchi e bambini, anziché essere nascosto e demonizzato.
Divagazione: il giochetto dei migliori in ogni sport, quando non addirittura nello sport tutto, mescolando uomini e discipline, è smontabile con la logica noiosa dei tempi che cambiano e quindi delle diverse piattaforme su cui gli atleti si muovono. Però diverte e offre magari addentellati speciali. Io per esempio , quando divenni direttore di Tuttosport, fui chiamato da un grande ente sportivo mondiale, così grande che non ne ricordo il nome, per essere precisi a elencare mia formazione ideale di tutti i tempi. Ovviamente ci misi Pelè e Crujiff e Mazzola (Valentino) e Sivori (Maradona non era ancora sulla scena), però diedi un posto in mediana a Fadini, Rubens Fadini giovanissimo ferrarese, uno del Grande Torino, riserva di Castigliano, Grezar e Martelli, morto a Superga. Mi avevano colpito, sia pure in poche apparizioni con la prima squadra, la sua eleganza, il suo giocare pulito ed efficace, a testa alta, nonché qualcosa in lui che, come canta Paolo Conte raccontando Bartali, “descrivere non si può”. Una provocazione, la mia, che però mi valse una telefonata di Gianni Brera: “Se hai messo Fadini nell’elenco capisci di calcio”. Brera era innamorato degli atleti della Bassa Padana, e dunque anche di Fadini: non seppi mai altro, non gli chiesi niente e lui niente di più mi disse, però ricordo persino, di quell’occasione, la sua voce.
Per Beppe Conti ho telegraficamente scritto di Armstrong che secondo me è stato un grande esploratore delle possibilità del fisico umano, se dopo un serio tumore si è rimesso in sella per vincere, comunque, tutto quello che vinto. E la sua pozione prima di essere truffaldina (nei riguardi di chi non la conosceva e quindi non la poteva usare, oltre che dei tifosi acclamanti), è stata una grande scoperta scientifica da non occultare nelle nebbie dell’oscurantismo legale.
Siccome, più o meno travestito da medicina sportiva avanzata, il doping continua a esistere, e nello sport tutto, siccome ogni tanto si scopre che il tale, massì anche lui si dopa, siccome ogni tanto qualche atleta se ne muore un po’ troppo presto, siccome Armstrong sta a quanto mi consta benissimo, davvero vorrei che la sua pozione, di fronte a cui quella di Asterix ha la vis di una gazzosa, fosse identificata e propagandata per i deboli, i malaticci.
La proverei subito, su di me, si capisce. In fondo, ai tempi del primo doping conclamato, decisi di sperimentare questa pratica nella tappa montagnosa che minacciosa aspettava il Giro. Avvertii il medico della corsa e qualche amico, assunsi degli epatoprotettori per un paio di giorni e al momento ics buttai giù, secondo la sequenza consigliatami dall’«ex», ben 13-pastiglie-13. Si trattava di simpamina, metedrina ed efedrina, più qualcosa di simile, stessa famiglia, però a rilascio lento (credo che il nome commerciale fosse tempodex). Ci aggiunsi qualche grappino per facilitare il passaggio delle pillole nel sangue, seguii in auto la tappa, in sala stampa compitai come al solito i miei articolacci. Un collega, vedendomi zigzagare veloce fra i banchi dell’aula di scuola in cui si lavorava, mi chiese ridendo se ero dopato, anzi drogato, dissi di sì e ovviamente non mi credette. Cena normale a Trento, con birra. Il giorno dopo urinai rosso, ma neanche rosso troppo intenso. Non accusai null’altro di particolare. Mi è dispiaciuto che anni dopo la moglie di quell’ex ciclista, un campione scomparso troppo presto, si sia arrabbiata con me per la divulgazione del mio esperimento. Era in fondo un omaggio al marito, come lo sarebbe adesso un qualcosa di simile nei riguardi di Armstrong.
Ps: tutte cose che ho in parte già scritto, ma penso sempre che pochi mi leggono e pochissimi ricordano, intanto che le cose stesse sono speziate e quindi rese diverse dal tempo che scorre, cambia e le cambia.