Cassani: «Nazionale da 8 e il futuro ci sorride»

di Giulia De Maio

Il primo mondiale lo vide a Imo­la, aveva sette anni e suo padre svegliò lui e suo fratello all’alba per portarli sui Tre Monti: vinse Adorni e fu amore a prima vista. Col ciclismo e col mondiale.
«Uno che non ho mai dimenticato è quello del ’73: quel giorno si sposava mio zio, eravamo tutti a casa di mia nonna, a San Mauro, e io saltavo sul divano per Gimondi».
Da allora Davide Cassani non se ne è perso uno.
«Dopo le tante edizioni seguite in tv da spettatore, nell’83 ho fatto la riserva. Nell’85 la prima volta da titolare, dall’88 al ’95 li ho corsi tutti, gli altri li ho commentati per la Rai, questo è stato il quinto da CT».
Da quando è sull’ammiraglia della Na­zionale Italiana nel 2014 il migliore è stato Colbrelli, 13°; nel 2015 Nizzolo, 18°; nel 2016 sempre Nizzolo, 5°. L’anno scorso Trentin ha sfiorato il po­dio, quarto, e quest’anno gli ha regalato il primo oro su strada, vincendo l’Eu­ropeo di Glasgow.
Il campionato del mondo di Innsbruck che abbiamo appena messo in archivio non potrà di certo scordarlo perché gli ha dato una certezza per il futuro.
«Oggi abbiamo capito che un giorno Moscon vincerà la maglia iridata» ha dichiarato a caldo, stremato al termine di una gara che lo ha logorato come se l’avesse corsa in bici. Quella maglia ar­cobaleno ci manca da Varese 2008, dal trionfo di Ballan. Per trovare una striscia così lunga senza vittorie italiane a un Mondiale dobbiamo tornare ai tem­pi di Fausto Coppi. Solamente a cavallo della Seconda Guerra Mondiale, tra il successo di Alfredo Binda (1932) e quello di Coppi (1953) gli azzurri erano stati più di un decennio senza conquistare la maglia iridata.
Il 24enne trentino del Team Sky ha chiuso quinto alle spalle dell’imbatido Valverde, di Bardet, Woods e Du­moulin. A farci sognare è che sia il più giovane della top ten. Sul muro di Gra­martboden, che in Austria chiamano semplicemente “Holl”, l’Inferno, si è dovuto inchinare a quattro corridori più esperti di lui che in gran parte arrivavano dalla Vuelta, avvicinamento ideale che lui non ha potuto effettuare a causa della discussa squalifica rimediata al Tour de France. La sospensione di cinque settimane che gli è stata comminata per un accenno di manata a Gesbert è terminata solo 20 giorni pri­ma del Mondiale.
Il coordinatore delle squadre azzurre non ha dubbi, promuove Mo­scon e l’Italia a pieni voti.
«Sono diviso tra amarezza e orgoglio. A Gianni sono mancati pochi secondi nelle gambe per giocarsi il campionato del mondo. Se avesse scollinato con 5” in meno di svantaggio, si giocava la ma­glia. La squadra è stata perfetta, non ci siamo fatti sorprendere. Sapevamo che la salita del circuito non poteva fare selezione perché troppo veloce, ci si giocava tutto nello strappo finale e Gianni è stato bravo. La consapevolezza è che nei prossimi anni un mondiale lo possiamo vincere. Alla squadra co­me voto do 8. Non ci sono stati errori. Sapevamo che la condizione di Nibali era imperfetta. Per questo non abbiamo fatto una gara più dura. Abbiamo sacrificato gli uomini che comunque si sarebbero staccati».
Il 57enne romagnolo non può che rivolgere i complimenti al nuovo re del mondo.
«Stupiva che Alejandro Valverde non avesse mai vinto un mondiale. Nelle classiche dure, da anni, è il più forte. Dopo sei podi iridati, meritava il titolo. Ha vinto l’abitudine a vincere corse così. Valverde e l’ultimo Bardet, quello visto quest’anno nelle prove di un giorno, erano perfetti. Tornando ai “no­stri”, devo dire che hanno lottato alla grande. Per poco Gianni non è rimasto con i favoriti e non si è giocato in volata il Campionato del Mondo, anche se battere Alejandro sarebbe stato difficilissimo. Devo ringraziare i ragazzi perché sono stati una squadra, hanno corso da gruppo e hanno fatto quello che avevamo previsto. Conside­ra­ti i tan­ti intoppi che hanno preceduto il nostro cammino verso questa rassegna iridata, non potevo chiedere di più a nessuno di loro».
C’è chi ha accusato la nostra Nazionale di aver sprecato troppe energie prima del muro finale, di aver corso come se fossimo la squadra favorita, senza avere un finalizzatore all’altezza della situazione. Per me, molto modestamente, si doveva correre come la Spagna. Anche di più. La nostra doveva essere una corsa passiva, di rimessa e speculativa.
Ci mettiamo la faccia: e andiamo a sbatterla. Così ha scritto nelle sue pagelle su tuttobiciweb.it il nostro direttore Pier Augusto Stagi.
«Dovete proprio spiegarmi dove sta questa spavalderia. Quando una squadra ha due capitani, i compagni devono aiutarli portandoli nel finale nel migliore dei modi. Se uno dei due non sta bene, il capitano diventa uno, così tutte le nostre forze sono state spese per Moscon. Abbiamo portato Gianni al po­sto giusto nel momento giusto, gli altri ragazzi sono stati convocati per fare questo e lo hanno fatto in modo incredibile. Sono stati superaltivi. A 8 km all’arrivo Gianni era nei primi 4, con quattro corse in croce nelle gambe. Ha corso per vincere, cosa vogliamo dir­gli? Senza radioline, in cima alla pe­nultima salita ha visto muoversi uomini pericolosi e li ha seguiti. A posteriori forse ha sprecato troppo nell’inserirsi nel tentativo promosso da Rui Costa alle spalle di Valgren, ma se avessero guadagnato 40” avrebbe vinto, perché in quel momento non c’era Valverde» replica Cassani, sempre aperto al confronto.
«La tattica, con gli uomini che avevamo, non poteva che essere questa. Nel­la prima metà gara siamo stati coperti, poi abbiamo inserito nei tentativi più pericolosi almeno un uomo. Damiano Caruso, Gianluca Brambilla, Franco Pellizotti, Dario Cataldo e so­prattutto Alessandro De Marchi hanno fatto un lavorone. Hanno svolto il compito che sono abituati a sobbarcarsi nei loro team al meglio. Hanno dato l’anima per la causa azzurra. Vincenzo Nibali (alla fine 49°, ndr) si è dovuto ar­rendere a 25 km dal traguardo, in se­guito all’accelerazione di Steven Kruij­swijk, ma non posso dirgli nulla. Ha fatto tutto il possibile per recuperare in tempo record dopo la maledetta caduta sull’Alpe d’Huez, si è dimostrato ancora una volta un campione, non è riuscito a fare il miracolo, ma non possiamo far altro che applaudirlo. È mancato solo Do­me­nico Pozzovivo (21° al traguardo, ndr), che per sua stessa am­missione non ha vissuto una delle sue giornate migliori. Su otto corridori ci sta che uno non riesca a esperimersi al 100%, è matematico. Tutti sapevamo che sarebbe stato un mondiale difficile, abbiamo avuto un percorso di avvicinamento altrettanto difficile. Io sono soddisfatto e sono fiero di come abbiamo onorato la maglia azzurra, a cui sapete quanto sono legato. C’è mancato un pelo. A fine gara Gianni era il più deluso di tutti. Mi ha confidato che non ci vedeva più dallo sforzo. Ha dato tutto, per l’allenamento e le corse che aveva nelle gambe è stato straordinario. Co­me tutta la squadra».
L’Italia torna a casa da Innsbruck con quattro medaglie: l’argento di Camilla Ales­sio nella crono junior, i bronzi di An­drea Piccolo nella crono junior, Ales­san­dro Fan­cellu nella corsa in linea juniores e Tatiana Gu­der­zo nella corsa in linea femminile, a cui van­no ag­giunti l’oro di Elena Cec­chini con le compagne del­la Canyon Sram e il bronzo di Damiano Ca­ruso in maglia BMC Ra­cing Team nelle cronosquadre. Il medagliere ci relega a un modesto 10° posto.
«I mondiali si concludono per noi con un un buon bilancio anche se non è arrivato il titolo mondiale. - conclude il Coordinatore delle Na­zio­nali. - Tornia­mo a casa con le medaglie dei ragazzi che dimostrano che il percorso riservato ai nostri giovani, che ab­biamo studiato per la loro crescita, è veramente serio e con lo splendido bronzo di Tatiana Gu­der­zo, una ragazza che - nonostante il passare degli anni - ogni volta che indossa la maglia azzurra si trasforma letteralmente. Il bilancio che possiamo trarne è sicuramente po­sitivo, dietro c’è tanto lavoro, i risultati si sono visti nonostante la fortuna non ci abbia assistito».
Davide non ha ancora smaltito l’adrenalina di questo mondiale, lo si avverte nelle sue parole, ma pensa già ai prossimi obiettivi che lo aspettano.
«Da coordinatore devo guardare al fu­turo. Il percorso con cui ci confronteremo nello Yorkshire nel 2019 è più semplice e aperto rispetto a quello che ci siamo messi alle spalle. In Inghil­ter­ra avremo più punte. Abbiamo corridori adatti e all’apice della maturità come Matteo Tren­tin ed Elia Viviani, che hanno dimostrato in questa stagione di essere su­per competitivi e sicuramente avremo altre carte da giocare Sento anch’io il peso di questa maglia iridata che manca, ma il futuro è dalla nostra parte. Ne sono sicuro».

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