Uso la prima persona singolare perché il fatto è appunto singolare. Sono riuscito a commuovere Marina e Faustino Coppi insieme, nella sala consigliare del comune di Diano Marina, cittadina ligure nel cui territorio sta il Capo Berta, quello della Milano-Sanremo. Era la prima “tappa” della cerimonia per la sistemazione del cippo a Coppi, quello che sta sul celebre passo accanto al cippo a Girardengo (i due Campionissimi, nove Sanremo vinte in due, sono nati a pochi chilometri di distanza uno dall’altro in quelle terre alessandrine che hanno vasti crediti verso lo sport italiano quanto a produzione di atleti: si pensi anche a Baloncieri, Ferrari e Rivera, con spostamento nel calcio). Qualcuno aveva decapitato Fausto: un collezionista per tenersi la testa? Lo scultore Santamaria aveva ancora il calco, in fretta è stato fuso il bronzo per una nuova testa, la testa è stata rimessa sul busto nella seconda tappa della cerimonia, con una piccola folla ad assistere, lì sulla via Aurelia.
Come oratore ufficiale, ho messo avanti l’ipotesi che non si sia trattato di un gesto vandalico, ma che il collezionista appartenga al gruppo di burloni, tutto sommato simpatici, che prelevano nanetti d’argilla nei giardini di ville sciaguratamente dedite a questo tipo di esposizione, li portano nel profondo dei boschi e annunciano la liberazione di quelle creature. In Francia pullulano, questi burloni, e si sa che l’Italia copia sempre la Francia. Naturalmente non ho detto di pensare a Coppi liberato in un bosco, ma a Coppi che, magari confrontandosi con altri pezzi di statue di altri ciclisti celebri, è stato messo in condizione di andare per le strade del suo Izoard, del suo Stelvio. Coppi sulle grandi montagne contro Bartali, contro Bobet, contro Anquetil, contro quelli che come lui sono effigiati in posti famosi per le loro gesta. Coppi liberato come quei tutto sommato fortunati nanetti.
Ho guardato negli occhi Marina e Faustino, mentre parlavo. Ho pensato che fossero commossi, e qualcosa che qui non ritengo di dover spiegare mi ha poi confermato la mia impressione. Il fatto è che non potevo vedere bene se avevano gli occhi pieni di lacrime: perché io avevo gli occhi pieni di lacrime.
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Il calcio indice gli stati generali per decidere di non decidere: l’ultima volta è accaduto a proposito dei problemi arbitrali. Cantava il grandissimo Giorgio Gaber, a proposito di problemi che definiamo qui come intellettualoidistici: “nel dubbio rinvio il suicidio e fondo un gruppo di studio”.
I grandi dirigenti del calcio sono stati fermissimi nel dire che così non si può andare avanti e persino nell’assumersi la loro parte (enorme) di colpa. Poi sono stati altrettanto fermissimi nel non lasciare le loro cariche, nel non dimettersi. E con enorme impegno mentale hanno varato una commissione per la valutazione del problema arbitrale.
Criticando eccome questa abitudine di spostare il problema sempre su nuove orbite, così che giri la testa a tutti quelli che cercano di guardarlo con attenzione, aspettiamo adesso di sapere cosa dirà la commissione mandata nello spazio, anzi nel buco nero di un settore, quello arbitrale, dove la sudditanza non è più un reato, proprio come il falso in bilancio, e dove le decisioni sbagliate sono prese tutte nella direzione giusta per favorire le grandi squadre sulle piccole, diciamo che invece la federciclismo non dovrebbe sottrarsi alla creazione di una speciale e secondo noi necessaria coommissione: quella per studiare il caso Pantani, e non a fini soltanto giuridici o sportivi, legali o chimici, ma al fine di non perdere la meglio memoria sportiva di colui che è stato pur sempre un grande campione, un grande esponente del ciclismo che emoziona e commoziona la gente. Una commissione che lanci e sostenga e incrementi un’idea, un progetto: per esempio una vasta completa pubblicazione su Pantani, sul caso epico e tragico di Pantani, chiamando a scrivere sociologhi, psicologhi, giornalisti, letterati, anche poeti. Non un cippo, un monumento, come pure sappiamo essere allo studio in alcune località, ma una cosa nuova, una rivisitazione scritta e magari anche dipinta del personaggio, una interpretazione della sua vicenda, del suo dramma.
Con la certezza che poi non ci sarà nessuna testa da staccare dal busto.
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Torno alla prima persona singolare per avanzare una richiesta molto personale. Quella di poter esporre come la stesura di questa rubrica ha rimpiazzato in me il senso di scadenze giornalistiche finite con la fine del lavoro di inviato al seguito di. Voglio dire, per quei due lettori e mezzo che mi seguono ed ai quali interessa magari ciò che scrivo, che una volta (sto a quello che era il calendario dei miei tempi) avevo la Sanremo a marzo, le corse al Nord ad aprile, il Giro d’Italia a maggio e giugno, il Tour de France a luglio, le selezioni premondiali ad agosto, il Mondiale a settembre, il Lombardia ad ottobre...Tutto bene scandito, sincopato, cadenzato. Adesso ho questa rubrica, magari da scrivere in anticipo parlando di qualcosa con parole che saranno lette, se lo saranno, nel posticipo. Un modo di essere impegnato sia pure senza un pronti-via ed un arrivo, ma come se galleggiassi sulle onde lunghe del tempo, e ogni tanto dovessi fare sulla tavola dei miei ricordi un po’ di surf speciale.
Fine della esposizione di faccende personali, e anzi chiusura di rubrica giurando che, dopo avere questa volta divagato al via e all’arrivo, non lo farò mai più.
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