Editoriale
La bicicletta è stata, per la donna, subito accessibile, senza divieti, senza remore di puritanesimo, senza scomuniche, senza curiosità di tipo malsano.
Agli inizi del ciclismo inteso come sport, la donna fu invece assente. La bicicletta venne conquistata da lei nel nome dello svago, non dello sport; dell’allegria, non della fatica.
Anche oggi, alle soglie dell’anno Duemila e alla luce del favoloso e fragoroso successo ottenuto al Tour de France da Fabiana Luperini, il ciclismo femminile ha mostrato nuovamente tutto il suo fascino e i limiti culturali che da sempre lo accompagnano.
Sarà un problema meramente giornalistico, ma come avvenne già ai tempi di Maria Canins il ciclismo femminile è stato ancora una volta aggredito dalla smania di «mascolinizzazione». L’eroina del Tour è subito stata ribattezzata con il titolo di «Pantanina» in onore del più forte scalatore del momento. Era già successo nell’85 con la Canins, che alla tenera età di 33 anni trionfò nel suo primo Tour e fu costretta poi a portarsi sul sellino per anni l’appellativo sportivo di «Coppi in gonnella» e quello più domestico di «mammina volante». Se per la fuoriclasse altoatesina era quasi necessario trovare in Coppi l’ideale archetipo ciclistico, ben diverso è il discorso per Fabiana Luperini, che fino a prova contraria, un bel predecessore donna ce l’ha. Che bisogno c’era quindi di scomodare Pantani? Da ragazzo intelligente qual è, l’atleta romagnolo non ha tardato a precisare che forse il paragone era indecoroso più per Fabiana che per sé, visto e considerato che la pisana vince, stravince e finisce in giallo a Parigi, mentre lui, per il momento si deve accontentare di qualche bella vittoria di tappa.
Insomma, dieci anni dopo il trionfale successo di Maria Canins ai Campi Elisi, riecco la solita musica. Una donna si affaccia alla ribalta del ciclismo mondiale e subito ci si ingegna per «mascolinizzare» anche il più piccolo dei suoi gesti. La Luperini con il cuore di Coppi, la potenza di Bugno, il recupero di Indurain e la facilità di scalare le montagne di Pantani. Di Morena Tartagni, di Mary Cressari, di Luigina Bissoli, di Rossella Galbiati e Francesca Galli, senza dimenticare la povera Michela Fanini, nessun accenno. Si parla della donna in bicicletta come di un fenomeno da spettacolarizzare. Il ciclismo femminile non riesce ancora a riscuotere interesse ma solo curiosità. La domanda più ricorrente è: ma la Luperini riescirebbe a battere un uomo?
E penso al tennis. Quando la Seles o la Graf vincono si parla di loro, dei loro successi, delle loro prestazioni, non ci si interroga su come andrebbe a finire un eventuale match tra la Seles e Agassi, tra la Graf o Sampras. E lo stesso discorso lo potremmo fare per l’atletica, il nuoto e ultimamente anche per lo sci. In queste discipline la «par condicio» è stata raggiunta da tempo. Nel ciclismo, invece, è solo un buon proposito.
In compenso, la penuria di notizie, che in estate costringe i giornali ad autentiche contorsioni per riempire le pagine di qualcosa, crea effetti strani, per certi versi poco comprensibili. Ed ecco che un Giro d’Italia (vinto sempre dalla Luperini) vale una «breve» e un Tour de France pagine intere. Mi si dirà: ma il Tour è il Tour, senza sapere che la corsa transalpina riservata alle donne non ha nulla a che vedere né con quello vinto dalla Canins (organizzato dalla Societè du Tour de France, sulla falsa riga di quello maschile e corso nel medesimo periodo) né tantomeno con il nostro Giro d’Italia, quello che da tre anni Brunello Fanini organizza egregiamente. La Luperini era già la Luperini dopo il suo successo rosa: corsa dura, sicuramente più massacrante del Tour e certamente meglio organizzata. Ma si sa, è difficile resistere al fascino del successo d’oltralpe. Ed è soprattutto difficile fare i giornali ad agosto. Ma come direbbe Catalano: meglio che di ciclismo femminile se ne parli piuttosto che no.
Ben vengano, quindi, i servizi televisivi e le inchieste giornalistiche; ben venga magari un titolo mondiale, su strada, che sarebbe il primo per la storia del ciclismo femminile. Forse con un titolo iridato la donna in bicicletta potrebbe vivere la sua completa emancipazione; troverebbe una sua nuova e definitiva identità. Un augurio a pochi giorni dalla grande rassegna iridata colombiana? Che Pantani possa diventare presto il nuovo «Luperino».

Pier Augusto Stagi
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