Gatti & Misfatti
Quando la Rai veste i panni del conte Dracula

È evidente, la Rai vuole riprendersi il ciclismo per riservargli il ben noto trattamento Dracula: succhiargli il sangue e poi gettare il vuotoa perdere. Si avvicina il momento di ricominciare la guerra con la Fininvest per i diritti sulle grandi corse e nella televisione di Stato sono agitatissimi perché sentono aria di successo. Ma è normale una domanda: per farne che? Ci si illudeva che tre anni di penitenza fossero almeno serviti a chiarire qualche idea, dopo decenni di sistematiche
sevizie su uno degli sport più popolari d'Italia. Ma non è bastato. Arriva la Parigi-Roubaix, dopo quindici anni la rivince un italiano, quel Ballerini che tra l'altro corre con una spalla sinistrata e viene da due anni di sconfitte incredibili, fango carbone forature, insomma tutti gli ingredienti per un bel romanzone tivù, ma evidentemente a RaiTre non basta: nel pomeriggio dell'epica domenica "Quelli che il calcio", spostano l'avvenimento in una veloce differita alle 18.10. E siccome non sarebbe abbastanza, i vampiri infieriscono stabilendo la concomitanza con "90° minuto" (Raiuno) e col gran premio di Formula 1 (Italia Uno). Un perfetto lavoro da canari, quali peraltro sono. Salvo poi dare i numeri quando il Giro cerca di mettersi in salvo tra le braccia delle reti private. Ma che vadano a nascondersi. E si trastullino con le loro trasmissioni intelligenti. Quelli che il calcio lo danno nel sedere a Ballerini.
Del resto la tecnica è sperimentata, i metodi hanno il marchio di fabbrica. L'ultima che hanno partorito è la par condicio del palco. Il tifoso sa bene come andava una volta su nel superattico di De Zan Senior: assessori, addetti stampa, venditori di tappeti, piazzisti del Folletto, potevano parlare tutti purché amici suoi. La storia è andata avanti per anni, ma ultimamente Adrianone nostro aveva un pò sbarellato: completamente alla frutta, si era ridotto a chiamare in sede di commento fisso il direttore sportivo, nonché uomo immagine, nonché chissà che altro della ZG, Gianni Savio. Personaggio dai modi molto urbani e dalle argomentazioni zuccherine, Savio ubbidiva ciecamente al suo cognome e parlava benissimo di tutti.
Eppure si sono alterati tutti. Dopo un pò i suoi colleghi sponsor hanno realizzato: perché solo lui, perché lui sì e noi no? Dal mugugno si è passati ben presto alla rivolta generale, con Adriano Metallizzato candido come un bebè a chiedersi il perché e il percome. A Roma l'hanno aiutato a capire, e difatti si volta pagina. Adesso tutti i gruppi sportivi si sono dotati dell'opinionista da palco, uno alla volta sfileranno con particolare attenzione ai tempi e ai dosaggi. Vogliamo dirlo? Siamo in perfetto delirio. Con l'aria che tira, nemmeno i corridori potranno più permettersi di vincere troppo: con lo zelo da par condicio che sta dilagando in Rai, capaci che alla terza tappa di Cipollini gli tirano su uno schermo nero per riproporre l'arrivo dell'undicesimo, uomo Refin, poverini loro che non sfilano mai per primi sul traguardo. Ma perché, tanto per non fare dei nomi, non copiamo Telemontecarlo, che si tiene l'opinionista preferito (Saronni) e i gruppi sportivi li lascia dove devono stare, cioé nelle ammiraglie?
Domande inutili, quando si muovono fanno solo danni. Però consoliamoci, adesso c'è il Giro. Tutto si potrà dire di Italia 1, ma non che ha penalizzato la corsa rosa. E difatti gli ascolti degli ultimi due anni sono lì a confermarlo. Due milioni, tre milioni, quattro milioni. Mica male per una disciplina che veniva data per morta, o comunque con l'encefalogramma piatto. Tornano subito alla mente quelli del boom, sì, le conventicole degli sport intelligenti, i superdotati del basket e della pallavolo, gente che raccontava di discipline emergenti, di palazzetti stracolmi, di spettacolo del frutto. Ma quale futuro, dopo il boom hanno già fatto il crak. Trasmettono la finale (l'ultima delle duemila finali che s'inventano) di campionato, sabato pomeriggio Rete Uno, cioé condizioni perfette per tenere su gli ascolti, ma quando fanno il pieno arrivano in ottocentomila. Praticamente come la differita della Milano-Vignola trasmessa dopo Marzullo. Non si chiedono, loro e i loro sponsor radical-chic, come mai. Eppure la ragione è semplicissima: da che mondo è mondo, e finché mondo sarà, la gente continua a spostarsi in bicicletta e inevitabilmente si ritrova al bar o davanti alla televisione per discutere di gesti che conosce bene, che compie quotidianamente e che magari vorrebbe compiere ai ritmi dei suoi campioni. Finora, nella storia d'Italia, non risulta invece che dal barbiere o in sala biliardo si finisca per begare sui tagliafuori di Pittis o sui muri di Lucchetta. Niente in contrario comunque che ciascuno segua lo sport preferito. Però stiano al loro posto. Tra l'altro gliene basta poco. Ancora qualche anno e un campionato di basket ci starà tutto in un monolocale.
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