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Secondo noi il ciclismo fa troppo poco per ricordare Fausto Coppi.
Secondo noi il ciclismo fa troppo per ricordare Fausto Coppi.
Le due affermazioni possono, sempre secondo noi, convivere. Si pensi ad esempio a cosa fa Mantova per ricordare il suo Nuvolari. In questi mesi, ad esempio, una mostra ed altre manifestazioni tutte di altissima portata culturale e storica. Rassegna di reperti, concerti, convegni, rievocazioni, dibattiti.
Tazio Nuvolari è stato grandissimo, importantissimo anche socialmente, siamo tutti d’accordo. Ma Coppi è stato grandissimo, importantissimo più di lui. Pensiamo che lo ammettano gli stessi mantovani devoti alla memoria del loro campione. Coppi è stato l’Italia, l’Europa che «pedalavano» per liberarsi dalle macerie. Storicamente, simbologicamente è stato enorme. Nuvolari ha impersonato casomai in certi anni il duello sportivo, purtroppo soltanto sportivo, fra l’Italia di Mussolini e la Germania di Hitler. Non una rinascita epocale. Lo strumento di lavoro, lo strumento dimostrativo dei due è stato diverso, comunque quello di Coppi è stato più vicino al popolo: la bicicletta di tutti e non l’automobile di pochi. La bicicletta dolente e non l’automobile ruggente. Nuvolari ha avuto uno strumento più facile, più comodo, assai più effettistico.

Da questo punto di vista -un punto di vista culturale ma anche sociale, anche storico - per Coppi si fa poco, troppo poco.
Poi però si incappa continuamente in manifestazioni per ricordare Coppi: specialmente nella sua provincia, quella di Alessandria, a Novi come a Castellania, a Tortrona come nella stessa Alessandria. A Torino intorno al suo monumento in riva al Po e a Cuneo con grandi pedalate di massa, sempre Piemonte è, e Coppi era piemontese. Novi Ligure ospita un museo bellissimo che senza l’ispirazione coppiana non sarebbe mai nato.

Molte cose, molte iniziative spesso in contrasto le une con le altre. Molto affetto, tanto pellegrinaggio da tante parti d’Italia, Europa, mondo. Ma sempre l’idea di un respiro, come dire?, corto, locale, regionale, soltanto qualche volta nazionale. Mai una proposta-choc. Tortona celebra i cinquant’anni dalla conquista della maglia iridata a Lugano: bellissima cosa, ma quello fu anche il giorno in cui al fianco di Coppi comparve una signora elegante, insomma nacque la Dama Bianca. Ci starebbe un convegno alto sulla situazione psicologica del campione e dello sport tutto presso l’opinione pubblica di quel tempo, del rapporto fra amore borghese e campione popolare in quell’Italia: a costo di finire di nuovo su Bartali pio e Coppi laico.

Già, Bartali: anche per lui troppo o troppo poco. È pazzesco che Paolo Conte, il più intellettuale dei nostri artisti della canzone, dei nostri cantautori, canti per Nuvolari e non per Bartali, al quale ha dedicato una delle sue canzoni più belle. Le vittorie di Bartali al Tour del 1948, nei giorni di un’Italia squassata dall’attentato a Togliatti sino ai confini della guerra civile, sono oggetto di tesi di laurea: ma il ciclismo non usa neanche un pochino questa sua forte storicità.
Diciamo che una colossale mostra sull’Italia di Bartali e Coppi potrebbe essere una sensazionale occasione di fare storia, e grande storia d’Italia, attraverso lo sport. Ma certamente non parte dal mondo del ciclismo questa iniziativa. Intanto che il mondo culturale ha quasi paura di disturbare il mondo del ciclismo proponendogli questo tipo di esercizio di respirazione. Boh.

Il bello è che, se gratificati personalmente di un potere assoluto per fare qualcosa in merito, non sapremmo dove e come incominciare. Però sempre personalmente avremmo la scusa, l’alibi della situazione emotiva nei riguardi di due grandi campioni che ci hanno segnato negli entusiasmi, negli affetti, nel lavoro. Urgono persone distaccate e serene, interessate più che appassionate, colte più che calde.

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E a proposito dell’uso di Bartali e Coppi, anche Pantani e Cipollini sono stati usati male dal ciclismo?
Sempre personalmente, diciamo di no. Nel senso che i successi dei due sono stati valorizzati piuttosto bene. Più facile con Pantani, che vince Giro e Tour nello stesso anno, che è scalatore, è romagnolo, insomma ha forti stimmate di simpatia e popolarità, oltre che di statistica sublime. Non facile con Cipollini che non finisce Giri d’Italia e di Francia: ma ha aiutato il fascino «macho» del tipo.
E adesso i due vengono usati male? Forse no. Forse si accompagna bene, riguardosamente bene, un declino che altrimenti si presterebbe a speculazioni di vario tipo. E che comunque riguarda due atleti la cui anagrafe contiene anche un diritto al declino. Temevamo che i due potessero venire sbranati. Invece il loro occaso, diversissimo in un caso e nell’altro, è tutto sommato poco usato da avvoltoi e farisei, che spesso sono poi lo stesso bipede.
Salvo errori ed omissioni da parte nostra. Salvo emissioni repenti di indiscrezioni pettegolezzi, scandalismi ed accuse verso i due, il cui Giro di Vita non è ancora finito.

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Coppi, Bartali, Pantani, Cipollini: pensate a come gli altri sport invidiano al ciclismo campioni così. Pensate a come altri sport spremono mediaticamente i loro campionucci per dare a loro una popolarità vastissima. Pensate a come noi del ciclismo siamo signori, siamo pudichi, siamo cauti, siamo onesti.
A come siamo fessi, insomma.

Gian Paolo Ormezzano, opinionista de “La Stampa”
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