Scripta manent
Armstrong un «Tour della speranza» che vale più di un Mondiale
di Gian Paolo Porreca
Altrove, come è giusto che sia, leggeremo e leggerete di Bettini e Freire, di Di Luca e Valverde, di Casagrande e Camenzind, di Basso e Boogerd, dei presenti e degli assenti dei Mondiali di Hamilton.
A noi compete qui parlare di un atleta che in Canada non ci è andato, ma che in contemporanea è stato al centro e nell’anima di una inedita enorme corsa.

Ci riferiamo a Lance Armstrong e al Tour of Hope - un «Tour di Speranza» - che il campione statunitense ha organizzato insieme alla Bristol-Myers Squibb e che da sabato 11 ottobre a sabato 18 ottobre, da Los Angeles a Washington, attraverso diciotto stati dell’Unione, porterà in bici per gli United States la bandiera della lotta al cancro.
Stazioni di tappa senza abbuoni non Luz Ardiden e l’Envalira, il Mortirolo o l’Alpe d’Huez, bensì i centri oncologici distribuiti lungo il percorso, la “gara”, questa sorta di fervido pellegrinaggio in bici, sarà disputata da 26 ciclisti speciali, di ambo i sessi: prescelti tra i pazienti sopravvissuti alla malattia come Lance, oncologi, infermieri, familiari di pazienti, operatori sociali, tutti tesi nella stessa dedizione, impegnati nella stessa crociata. Lotta al cancro, ed incentivazione della ricerca in merito.
Ed ancor più, ci sembra, promozione coraggiosa della conoscenza della malattia e della capacità di conviverci.(Se è vero, come è vero, che tutte le nostre famiglie ne sono coinvolte).

No, non Ullrich e Virenque, non Pantani e Frigo, ma su bici altrimenti seducenti Chris Brewer e Jim Buchanan, Sheila Davies e Nilana Dolezal, Peter Scharcheri e Michael Talifiero, porteranno avanti il loro caleidoscopio di emozioni e di ragioni: e dove per uno scatto vincente si intenderà un a cellula maligna distrutta in più.

Lance Armstrong, allora, ad Hamilton non ci sarà.Ma, consentiteci, se il ciclismo che tanto amiamo fa parte di un mondo che troppo spesso è intriso di dolore che non di gioia, se da questo mondo quotidiano non deve sentirsi particella estranea, quale sport a misura d’uomo per eccellenza, consentiteci di affermare che l’assenza di Lance Armstrong ai Mondiali diventa non solo giustificata, ma quasi obbligatoria.

Come è obbligatorio sottoscrivere il titolo, la filosofia, senza averlo ancora letto, del suo secondo libro autobiografico, che proprio in questo stesso mese verrà presentato: “Every seconds counts”, ogni secondo conta, che è davvero una bella sentenza per chi, da ciclista, i suoi Tour li ha vinti a suon di minuti. Ogni attimo della nostra vita vale, nello sport come nella giornata di vita e di lavoro, si sia medici o giornalisti, in bici o in borghese.Ogni attimo vale, e si può fare certamente di più per il prossimo, così contro il cancro ed il suo proliferare che permea il tessuto sociale come una povertà ulteriormente devastante, così - in senso lato - contro ogni male fisico e morale del nostro universo.

Ese è un uomo del ciclismo che dal recinto sereno di questo nostro sport arriva a dire tanto, riconosciamogli che non ha bisogno di correre ad Hamilton nel 2003 per essere di già campione del mondo. E certamente non per un solo anno.

Gian Paolo Porreca,
napoletano, docente universitario
di chirurgia cardio-vascolare,
editorialista de “Il Mattino”
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