Gatti & Misfatti
Udite, udite: hanno scoperto il doping di Cristiano Gatti

Bisogna stare attenti ai movimenti di Candido Cannavò, direttore della Gazzetta dello Sport: se prossimamente va negli Stati Uniti, è capace di sparare a nove colonne il titolo “Abbiamo scoperto l’America” (sommario: il coraggio della Gazzetta consente di regalare al mondo una nuova frontiera, diteci almeno grazie).

Dobbiamo veramente aspettarci di tutto, vista la simpatica disinvoltura con cui si sono mossi dopo l’ultima scoperta che hanno fatto, e mi riferisco ovviamente al doping. Inciampando una mattina in un dossier, Candido e la sua band si sono accorti che nel ciclismo non tutti pedalano a pane e nutella. Dev’essere stata una rivelazione sconvolgente, visti i toni assunti immediatamente dall’inchiesta rosa: basta, è uno schifo, ora ripuliamo noi. Sì, in quel preciso istante è nato il fenomeno doping. Come certi inviati che calano sul Tour de France e cominciano a raccontare la Francia - come se prima di loro non fosse mai esistita, come se prima di loro non ci fosse mai stato nessuno - così la “Gazzetta” si è assunta il ruolo e i meriti di prima combattente per la libertà, ovviamente libertà dalle porcherie.

Caro Stagi, a questo punto è meglio prendere in seria considerazione l’ipotesi di espatriare, perchè veramente qui non c’è più speranza. Su, dimmi quale senso ha che tu continui a fare questa grande rivista, che noi continuiamo a scriverci sopra, e per quale ragione debbano continuare a uscire tanti altri benemeriti giornali, che da anni cercano di dire ai loro lettori scusate, lo sport è magnifico, però attenzione, ci sono i furbi, i truffaldini, gli imbroglioni, che pur di vincere sono disposti a comprare partite, che pur di guadagnare sono disposti a perderle, soprattutto che pur di stare a galla sono disposti a ingerire qualsiasi cosa, anche l’Idraulico liquido: dimmi, che senso ha tutto questo se poi salta su la “Gazzetta” a dire fermi tutti, vi dobbiamo purtroppo annunciare una spiacevole scoperta, qui c’è qualcuno che bara? I rosei sono da anni in prima fila a nascondere tutto, a dipingere lo sport come un’allegra colonia estiva dei salesiani, tutti duri e puri, tutti felici e contenti, tutti belli e simpatici, e cornuti quei disfattisti che continuano ad insinuare le cose più brutte, brutti loro, pure sporchi e puzzoni. Da anni censurano con opera sistematica e metodica tutte le notizie, anche le più cretine, che in qualche modo scalfiscano l’immagine idilliaca del loro mondo, e adesso saltano su per dare lezioni a tutti, presentandosi come ardimentosi pionieri di una lotta senza quartiere. No, veramente non c’è più speranza. E lo sai, caro direttore, perchè non c’è più speranza?
Secondo me, perchè l’unica forza che potrebbe interrompere il teatrino, e cioè i corridori, ancora una volta sta perdendo una grossa occasione. Come per il casco - sì, la banale ma emblematica vicenda del casco -, il gruppo non ha ancora capito che la questione doping è prima di tutto sua, e che lì, dentro il gruppo, va risolta. Come? Con accordi sotterranei, ricorrendo alla ferrea legge del branco, cioè i capi si mettono d’accordo, basta, così ci giochiamo la salute, fuori dalle nostre squadre le porcherie, e chi sgarra non vive più, una cosa del genere Bronx, che può sembrare un po’ strana e brutale, ma soltanto a chi non conosca le primitive ed efficaci leggi di una carovana ciclistica. Invece no: i corridori fanno il bel gesto di accettare l’esame del sangue, con qualcuno già pronto a pretendere parametri altissimi, cioè il nullaosta legale per bombarsi, e poi lasciano che la “Gazzetta” li sputtani tutti i giorni, con continue denunce di personaggi senza alcuna autorevolezza. Ma tu pensa: il giornale del ciclismo (che organizzando corse incassa anche dei soldi), anzichè chiarire subito al mondo intero che l’equazione non è ciclismo uguale doping, ma se mai sport uguale doping, perchè il fenomeno è ormai abnorme in tutte le discipline, costruisce invece il simpatico mito universale “ciclisti tutti bombati”. E loro, i corridori, pronti a chinare il capo, ad andare alle inaugurazioni dei Giri dove ancora si beccano dei dopati, ovviamente senza possibilità di replica: magari mugugnano, ma non appena la “Gazzetta” schiocca le dita sono sull’attenti come i cocker del circo, “arf arf, grazie padrone”.

Èper tutte queste considerazioni che secondo me la guerra al doping avrà un finale molto italico, da farsetta nazionale. Già c’è un segnale inequivocabile: i combattenti rosa, anzichè dare una caccia spietata a maghetti e stregoni che aprono le bancarelle dell’Epo in mezzo alla strada e sotto i cavalcavia, lucrando ville con piscina, hanno puntato il professor Conconi e l’università di Ferrara. Ovvero, l’unico centro di ricerca che il mondo c’invidia, dove qualunque lavoro, anche il più evoluto, è comunque sottoposto alle rigide regole del mondo scientifico. Questo è il primo risultato, il primo capolavoro, dei pasdaran che hanno appreso ieri sera l’esistenza di una cosa chiamata doping. Si può realisticamente sperare qualcosa da simili fenomeni?

Cristiano Gatti, 39anni, bergamasco, inviato de “Il Giornale”
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