Com’è triste Venezia. Tristano, in questo caso non c’entra nulla, ma la tristezza era tanta. Doveva essere un bagno di folla e invece è stato un autentico bagno. Il Giro a Venezia-Lido è stato quanto di più infelice gli organizzatori potessero pensare e realizzare. È vero, non tutte le colpe sono imputabili alla Rcs-Organizzazioni. La distorta campagna stampa di certi mezzi di informazione, che hanno preceduto l’avvenimento rosa con articoli dai toni apocalittici, del tipo «Venezia blindata», hanno certamente allontanato gli appassionati del pedale. Ma è anche vero che a Venezia e ai veneziani (che non sono molti) il Giro interessava poco o nulla. D’altra parte, come canta Guccini, ai veneziani interessa solo vendere le madonnine, le gondolette, i leoncini e le immaginette di piazza San Marco, per il resto non si rendono nemmeno conto che sono con l’acqua alla gola. Peccato solo per il sindaco Massimo Cacciari, che di passione ne ha da vendere, ma per i veneziani è un articolo fuori moda.
Va dove ti porta il ciclismo. La scelta infelice di Venezia-Lido ha nuovamente confermato che il ciclismo va portato dove c’è richiesta. È assolutamente inutile fare propaganda e promozione laddove la domanda è pressoché nulla: sarebbe come andare a vendere congelatori agli esquimesi. È bastato spostarsi da Venezia a Mestre per sentire l’abbraccio caloroso degli sportivi. A Cervia lo spettacolo è stato davvero confortante e a San Marino il successo addirittura pieno. Il ciclismo, e in questo caso il Giro che ne è la massima rappresentazione italiana, vada dove la gente vuole che vada. E lasci da parte le logiche territoriali e politiche. Invece di fare promozione, si rischia di cadere in una cronica depressione.
Basta lamentarsi. E se fanno i circuiti si lamentano perché gira la testa; se si affrontano troppe curve si lamentano perché viene il torcicollo; se si è in riva al mare non va bene perché sull’asfalto c’è la salsedine; se il fondo stradale è nuovo e c’è il sole non va bene perché trasuda tutto il caldo; se invece è vecchio e gibboso si salta troppo. Insomma, al Giro d’Italia la lamentela è l’esercizio preferita dai corridori. Possono anche avere ragione, ma se così fosse, si decidano una volta per tutte: vadano dai loro sponsor e dicano chiaramente che non se la sentono più di correre il Giro d’Italia in queste condizioni. Altrimenti tacciano e pensino a farsi rispettare da quegli organizzatori che non solo mettono curve e strettoie a non finire, ma non pagano nemmeno i premi a distanza di anni.
Prove Tv. È una piccola consolazione. Dicono che il ciclismo sia lo sport dei vecchi baluba, e invece è più innovativo di molti altri. Come non ricordarsi che fu il ciclismo, nella persona di Fiorenzo Magni, a introdurre le sponsorizzazioni? Bene, il ciclismo, e soprattutto il collegio di giuria, da anni fa ricorso alle immagini televisive per valutare meglio le corse e i conseguenti provvedimenti disciplinari. Fagnini ha disputato ad Arezzo una volata «sporca» al limite del regolamento? Bene, valutato il filmato si proceda all’estromissione dalla corsa. Il calcio è ancora lì che discute e si parla addosso. Tutto concentrato ad ascoltare l’uomo nero. E in Tv non fa altro che celebrare le proprie ingiustizie.
Martinello-Cribiori. Li abbiamo seguiti con attenzione su Retequattro. Silvio Martinello, campione olimpico e mondiale è stato l’autentica sorpresa di questo Giro d’Italia. Puntuale, preciso, mai sopra le righe, è stato davvero la rivelazione televisiva della corsa rosa. Franco Cribiori, invece, dopo alcuni anni di esperienze (felici) nel caravan-regia come consulente del regista Popi Bonnici, quest’anno è salito in moto dimostrando sostanzialmente due cose: che fare domande intelligenti non è cosa poi così facile; che fare il giornalista sarà anche meglio di lavorare, ma ad ogni modo bisogna saperlo fare. Il danno è comunque stato duplice: abbiamo avuto un Cribiori inascoltabile dalla moto e delle immagini inguardabili in televisione, perchè Bonnici non era in grado di cogliere da solo i momenti cruciali della corsa: ve le ricordate le insistenti inquadrature a Jan Svorada nella cronoscalata che portava a San Marino?
Pier Augusto Stagi
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