Un calcio ai dubbi. La storia «Nandrolone-Pezzo», per come è nata, per come si è sviluppata e per come è finita, ha avuto il potere di indebolire (se ce n’era ancora bisogno), la credibilità della lotta al doping. Con questo non vogliamo apparire colpevolisti. Siamo tutti contenti dell’archiviazione disposta dalla commissione antidoping del Coni, che ha in pratica scagionato definitivamente l’atleta veronese da ogni infamia e responsabilità: ma i dubbi restano. Non è in discussione il «verdetto Pezzo», ma è la normativa antidoping a fare acqua da tutte le parti. È una questione «tecnica e morale». Quella tecnica riguarda le regole del gioco, che devono essere certe, riconosciute da tutti, comprensibili e riscontrabili con maggiore facilità: possibilmente valide in tutti i laboratori del mondo. Quella morale, invece, nei confronti degli sportivi, quelli praticanti e pantofolati. Quelli che sono chiamati a sottoporsi ai continui controlli (perché in ogni caso nel ciclismo i controlli sono frequentissimi), e coloro i quali cercano di seguire uno sport sulle colonne di un giornale o davanti ad un televisore se non lungo i bordi di una strada, e si trovano a dover comprare il «bigino del buon ciclista», per capire quello che giornalmente succede in uno sport che oggi non è più solo quello. Giustamente gli sportivi non sono tenuti a seguire con interesse e competenza queste intricate battaglie sul filo del cavillo. Nessuno è tenuto a seguire corsi di recupero di chimica, biologia e giurisprudenza, ma per districarsi in questo nuovo mondo su due ruote, sembra indispensabile, oltre al «bigino», riprendere in mano l’indimenticato «piccolo chimico». Ma una cosa ci preme aggiungere. Paola Pezzo ha dichiarato subito dopo l’archiviazione del suo caso, che vuole andare a fondo alla cosa; vuole capire cosa è successo realmente. Giustissimo. Ma anche noi vogliamo chiedere una cosa alla campionessa olimpica di Atlanta: a cosa si riferiva quando parlava di «complotto politico» e di «intrigo internazionale»? C’è forse qualcuno che gioca a screditare il mondo del ciclismo? La Federazione, più volte tirata in ballo, ha forse interesse a ridicolizzare il proprio movimento? Questa archiviazione, fino a prova contraria, ha dimostrato esattamente il contrario: l’imparzialità dell’organismo direttivo del nostro movimento. Ma ha anche detto, in modo inequivocabile, che la battaglia al doping è seriamente messa in pericolo. E forse, questa, è già una battaglia persa in partenza.
Un calcio al ciclismo. Non vorrei apparire come una vecchia Cassandra, ma è meglio mettere le mani avanti: il ciclismo, soprattutto quello minore, rischia nel ’98 l’oscuramento. Elenco a caso alcuni grandi avvenimenti fortemente a rischio: Giro d’Italia femminile, Giro d’Italia baby, Coppa del mondo su pista, Campionato Italiano professionisti. Tutte queste manifestazioni cadono nella rete della concomitanza con il mondiale di calcio che, in Francia, si svolgerà dal 10 giugno al 12 luglio. Al Tour de France, che ha deciso di spostare il suo avvio non per timore di essere schiacciato (perché non teme nemmeno le Olimpiadi), ma per amor patrio, hanno predisposto tutto. Un consiglio ai nostri dirigenti: muovetevi in tempo utile per avere garanzie dalla Rai. Altrimenti prepariamoci a vedere servizi alle ore più impensate, della durata di uno spot del caffé, amaro.
Un calcio ai volta gabbana. Di Renato Di Rocco, segretario generale costretto a togliere il disturbo dopo 12 anni, abbiamo già scritto. Subito dopo l’elezione di Ceruti avevamo espresso il timore di questo provvedimento, e di questo siamo ancora oggi convinti. Singolare, invece, è la posizione di quei personaggi come Gianni Sinoppi, presidente regionale per anni, oggi componente del direttivo Uec (Unione europea di ciclismo) per volere di Ceruti, che dopo essere andato in giro per anni a dire peste e corna di Di Rocco, adesso si schiera in favore dell’esautorato Segretario generale: «È stato un grave errore sbarazzarsi di uno come lui». Il grave errore è stare a sentire ancora Sinoppi.
Non parliamo poi dei consiglieri federali della cosiddetta «minoranza silenziosa», tanto silenziosi che alle assemblee non dicono nulla. Nemmeno per chiedere lumi quando si vedono respingere lettere inviate all’organo federale Tuttociclismo (perché contrarie alla politica federale): anche a pagamento. Cosa aspettano ad alzarsi e andarsene? E i Farulli e i Reccia? Vice-presidenti chiamati a presenziare (perché dubitiamo che possano aver qualcosa da dire) negli uffici di presidenza, che a riguardo della vicenda Di Rocco si sono limitati a dire che del problema «segretario generale» non erano mai stati informati: né in Consiglio né tantomeno negli Uffici di presidenza. Insomma, Ceruti decide, e loro tacciono: non hanno nulla da dire. Allora Ceruti
fa bene a decidere per tutti. Due sono le considera-zioni da fare: o tutti la pensano come lui, oppure
molti sono in disaccordo con il presidente, ma non sanno il perché.
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