LAMPRE MERIDA. Zhao, l'uomo che parla alla Cina

PROFESSIONISTI | 30/10/2016 | 07:44
Al ciclismo ci è arrivato quasi per caso, perché la sua passione era un’altra: il calcio. L’Inter in particolare. E lo è ancor di più adesso che la formazione nerazzurra è una proprietà cinese, con Suning e Zhang Jindong che sono su­bentrati a Thohir. Dei “cugini” rossoneri, cinesi anch’essi, invece preferisce non proferire verbo.
«Di loro proprio non ne so nulla, ma in ogni caso non ne parlerei. Il rossonero è un abbinamento cromatico che mi piace davvero poco», dice schietto e senza tanti giri di parole Zhao Hao­yang, 27 anni da Tianjin, l’uomo in più della Lampre Merida, che dalla prossima stagione batterà a tutti gli effetti bandiera cinese.
La sua mimica facciale non ha l’espressione della malizia, della bugia. «Se l’Inter doveva passare in mani straniere, quelle dei cinesi sono perfette, ma non vi nascondo che il Moratti del triplete resterà per sempre nel mio cuo­re».

Parla come se non sapesse che anche la sua Lampre ha cambiato bandiera. Quella che sino a quest’estate era l’unica squadra italiana di World Tour, da qualche settimana è divenuta la prima formazione con sponsorizzazione cinese. Nel segno della Tj Sport Consulta­tion Co di Li Zhiqiang.

Zhao però è ormai tanto immerso nella sua quotidianità italiana da ammettere
 che la sua nuova vita è qui. Tra Piol­tello, dove abita, e Usmate Velate, dove proprio con la Lampre progetta un fu­turo in grande.
«Sono arrivato in Italia con un sogno: quello del pallone. Mi è sempre piaciuto il calcio, ci giocavo pure, per me l’Ita­lia era una tappa inevitabile - spiega -. Ho studiato Scienze Politiche a Genova e intanto ho cominciato a lavorare come interprete al Tianjin Teda». Come ombra dell’ex veronese Yuri Pellegrini, partito dall’Alto Adige per andare nella megalopoli d’oriente, in quella che oggi è la squadra allenata dall’ex pallone d’oro Fabio Cannavaro.

«Ho lavorato con loro per sei mesi, poi sono tornato in Italia. Secondo me in Cina non c’è ancora la cultura sportiva che c’è qui da voi, ma il mio Paese sta facendo passi da gigante. In ogni caso quei mesi mi sono serviti per stringere nuove conoscenze, tanto da arrivare in Lampre. All’inizio non conoscevo il mondo del pedale e ne ero un po’ spaventato. Avevo paura di lavorare male. Poi Beppe Saronni e Brent Copeland mi hanno dato fiducia, spiegandomi le grandi ambizioni del loro progetto. E mi hanno convinto».

Oggi Zhao coordina lo sviluppo social e marketing per il mercato asiatico, dove Merida ha da sempre radici e in­teressi di sviluppo.
«Invio comunicati in cinese e mandarino, consapevole dei diversi destinatari delle comunicazioni, da Taiwan a Hong Kong».

Tanto che in Lampre i risultati, si co­minciano davvero a vedere. Non è un caso che il team blufucsiaverde, il pri­mo a credere in uno sviluppo a Est, oggi raccolga i frutti di una politica di sviluppo che parte da lontano.
Nel 2006 in Lampre esordì infatti come stagista Wu Kin San, nel Giro del La­zio. Lo stesso che corse anche Xu Gang che, dopo una parentesi a Shangai, è ritornato in Brianza nel 2014. L’esordio di Chun Kai Feng alla Roubaix del 2015, invece, suscitò tanto clamore da meritare la foto di prima pagina su quotidiani cinesi da oltre un milione di copie di tiratura. Un exploit a cui quest’anno ha fatto seguito la prova nel Fiandre.

«Lo scorso anno - spiega Zhao - quando Xu Gang si è presentato al via del Gi­ro d’Italia, in Cina c’è stata una grande attenzione sulla corsa e sull’Italia in sé. A fine anno, il nostro corridore è stato invitato alle premiazioni degli sportivi più famosi in Cina. E oggi anche i nostri canali social ci dicono che la squadra è sempre più seguita, in Asia. Ancor più delle vicende di Cheng Ji, l’unico altro big del ciclismo cinese, che corre in Giant Al­pecin».

Zhao parla chiaro, come può fare solo chi non ha malizia. E non esita a dire che quando si lavora, in Cina, c’è molto meno margine d’azione.
«Tutti devono stare in ufficio, seduti accanto al capo. Qui invece ho la mia scrivania, ho la mia autonomia. E pos­so portarmi a casa il lavoro, per lavorare anche fino alle 2 di notte tutte le volte che ne ho voglia. Posso quindi gestirmi come meglio credo: l’importante è che io faccia quello che mi dicono di fare».

È serio quando spiega che «quando ho cominciato con la Lampre, ero in Italia già da qualche anno. Perciò mi ero già abituato a questa nuova mentalità e al cibo. Anche se la barriera più grande è stata proprio quella della lingua». Ma una volta scalata la difficile vetta comunicativa, la strada ha preso a scendere. E anche il team ne ha tratto beneficio, innanzitutto durante le trasferte asiatiche. Nel 2015 la Lampre ha corso in Oriente 57 giorni su 275 totali, con 22 giorni di gara e 4 vittorie proprio in Cina, oltre a Giappone e Taiwan. A quelle latitudini il ruolo di Zhao è stato di vero e proprio mediatore culturale, oltre che di risolutore di problematiche gestionali del team e dei ciclisti. Re­lazionarsi con gli organizzatori di gara, nel reperimento di materiale tecnico o nell’organizzazione della logistica, ma anche per pratiche ospedaliere per le cure dopo cadute in gara: l’apporto di un madrelingua cinese ha ga­rantito maggiori margini di tranquillità all’intero staff Lampre. Tolti fastidi e disturbi, il terreno s’è fatto fertile perché potessero sbocciare anche prestazioni atletiche migliori. «Il mio futuro è qui, in Lampre - prosegue Zhao -. Spero di contribuire alla crescita della squadra e di vedere sempre più atleti cinesi su strada. Anche nelle altre squadre, certo. I corridori cinesi devono però uscire dal Paese per misurarsi con il ciclismo europeo, per alzare il loro livello. Solo qui si impara a fare per davvero i corridori».

Non per niente l’assistente tecnico del team Marco Marzano nelle scorse settimane è volato in Asia per osservare 6 o 7 giovani promettenti. «Anch’io vado spesso in Cina, due o tre volte l’anno, al seguito della squadra. Ne approfitto anche per rivedere mio papà e mia mam­ma. Loro non hanno patito il di­stacco, sono orgogliosi che io sia qui. E io sono orgoglioso di contribuire allo sviluppo di un progetto bello e ambizioso di livello mondiale. Anch’io pos­so dire di aver tirato una volata a Sa­ronni. E non è da tutti».

Stefano Arosio, da tuttoBICI di ottobre
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