GIUSTIZIA | 28/06/2016 | 09:22 La parola fine è arrivata. A metterla sull’inchiesta bis per la morte di Marco Pantani, è il gip del tribunale di Rimini, Vinicio Cantarini, che ha firmato il decreto di archiviazione «per infondatezza della notizia di reato», accogliendo la richiesta della procura. «La pista dell’omicidio è un’ipotesi fantasiosa», scrive Cantarini, motivando dettagliatamente, in 35 pagine, la decisione. La procura di Rimini aveva aperto un’inchiesta bis,a fine luglio 2014, sulla morte del Pirata, avvenuta a Rimini, il 14 febbraio 2004, a seguito del maxi esposto presentato dalla famiglia Pantani tramite l’avvocato De Rensis. Nel decreto di archiviazione, il giudice risponde a ogni interrogativo sollevato dall’esposto.
CANTARINI arriva a un’unica conclusione: la morte di Marco è stata dovuta ad «assunzione, certamente volontaria e autonoma, di dosi massicce di cocaina e psicofarmaci antidepressivi». Il gip spiega la sua ‘solida e granitica conclusione’: la molteplicità di accertate circostanze, risultanze di tipo medico-scientifico e investigativo portano a un un’unica certezza: «Marco fu vittima, per sua mano, di quelle stesse sostanze in cui aveva cercato disperatamente sollievo», scrive. Nel decreto si legge che il decesso di Marco è «verosimilmente attribuibile all’assunzione fortemente eccessiva del farmaco tramipramina». Insomma, niente omicidio: viene demolita la tesi sostenuta per mesi dall’avvocato De Rensis in tutte le trasmissioni tv. Ed a suffragare la tesi che non è stato commesso alcun assassinio, il fatto che sul corpo di Marco mancano «segni/ferite tipici di una colluttazione e/o difesa passiva e attiva. L’assenza, anche solo di ecchimosi, sul collo e/o sul volto tipiche di un’azione di forza e violenza per costringere taluno ad assumere contro la sua volontà delle sostanze». E la mattina della morte il campione era in stato di «assoluto isolamento, testimoniato dal personale del residence».
IL GIUDICE tratteggia l’uomo Pantani, «una persona buona, ingenua e debole sul piano emotivo, segnato dalle vicende sportive che lo avevano costretto quando era il campione amato da tutti, a scendere dalla bici per iniziare un percorso, segnato da continue crisi depressive, dalla solitudine che cercò di sedare con droga e antidepressivi. Nessuno voleva la morte del campione». L’ipotesi dell’omicidio, per mesi sostenuta dall’avvocato De Rensis, «va a scemare in mera congettura fantasiosa», conclude Cantarini. Parole come macigni, che mettono la parola fine sull’inchiesta bis del caso Pantani.
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