MARTINELLI, L'UOMO DEI GIRI

PROFESSIONISTI | 28/06/2016 | 07:03
Giuseppe “Beppe”o "Martino” Martinelli, attuale diesse del Team Astana, festeggia proprio nel 2016 i suoi primi trenta anni come direttore sportivo di squadre ciclistiche professionistiche. 61 anni compiuti l'11 marzo scorso, bresciano di Lodetto, è ormai considerato il tecnico dei record, avendo guidato alla vittoria nei grandi Giri a tappe Vincenzo Nibali (2 Giri d'Italia e 1 Tour de France), Marco Pantani (1 Giro d'Italia e 1 Tour de France), Stefano Garzelli, Gilberto Simoni, Damiano Cunego (un Giro d'Italia ciascuno) e Fabio Aru (1 Vuelta di Spagna). Nove successi nelle tre più importanti gare a tappe al mondo non li può vantare nessuno dei suoi colleghi diesse e questi risultati invidiabili sono il frutto meritato di anni di duro e appassionato lavoro, svolto con team importanti del calibro di Carrera, Mercatone Uno, Saeco, Lampre e Astana.  Squadre che hanno fatto o stanno ancora scrivendo la storia del ciclismo moderno.

Sul piede di partenza per il Tour de France, dove potrà contare su due atleti del calibro di Nibali e Aru, abbiamo realizzato con Martinelli questa intervista ricca di spunti interessanti.

Qual è il tuo ruolo ufficiale in seno all'Astana?
«La mansione è quella che preferisco maggiormente, sono direttore sportivo del team kazako».

Come valuti i 7 anni trascorsi con il team Astana?
«Indimenticabili, pieni di soddisfazioni e di grandi vittorie grazie anche al supporto ineguagliabile dello staff creato da Vinokourov».

C'è un segreto alla base del tuo record di 9 successi ottenuti come diesse nei grandi Giri?
«Ho avuto fortuna nel dirigere campioni eccezionali come Conatdor, Pantani e ora Nibali, però e senza falsa modestia ritengo di essere bravo nell'amalgamare il gruppo di atleti che ogni anno mi viene affidato. Dagli atleti pretendo inoltre la massima serietà negli allenamenti e nella vita quotidiana, poiché sono convinto che il lavoro ben svolto ricompensa sempre. Comunque i miei atleti hannno vinto anche importanti Classiche in linea come Liegi-Bastrogne-Liegi o la Sanremo e il Lombardia, non soltanto i grandi Giri…».

Un tuo commento finale sul Giro 2016?
«Un Nibali immenso, capace di ribaltare una situazione compromessa, lo ha vinto con pieno merito. Solo a fine Giro è trapelata una situazione che siamo riusciti a tenere nascosta, poiché Vincenzo ha avuto problemi di salute per alcuni giorni. Sì, senza la caduta Kruijswijk sarebbe stato difficile da battere ma a chi sostiene questa tesi dico soltanto che il ciclismo è così e lo stesso Nibali ha perso gare importanti a causa di cadute o di problemi di salute. Questo è il ciclismo, ragazzi e va accettato anche nei momenti di sfortuna».

Quindi la crisi di Nibali sulle Dolomiti non era da imputare alle pedivelle sbagliate...
«Pensieri in libertà che non commento nemmeno; le pedivelle c'entravano ben poco e lo si è visto nelle tappe decisive».

Ma il Giro 2016 ti è piaciuto?
«Sì, parecchio. Il ciclismo moderno deve andare in questa direzione, con tappe più brevi e salite anche molto difficili disseminate con criterio sul percorso. Quest'anno ho notato anche tanto pubblico, da Sud a Nord sempre il pienone e questo sarebbe un buon segno per il nostro ciclismo».

Il World Tour è da rifondare?
«Proprio da rifondare non direi. Secondo me, per fare riavvicinare sponsor importanti e frenare questa crisi economica strisciante, basterebbe accordare maggiore importanza ai team di categoria Professional ai quali potrebbero attingere i club World Tour per lanciare i giovani più interessanti. Uno slogan del World Tour è “le migliori squadre con i migliori atleti nelle migliori gare”. Oggi però non mi sembra proprio che sia così».

In Italia sembrano cadere in disuso le crono e le gare su pista, come mai?
«Purtroppo c'è una sorta di disinteresse verso queste specialità. Peccato, perché a Montichiari c'è un bellissimo velodromo, dove però vengaono ad allenarsi gli atleti della nazionale inglese…».

A proposito di giovani, tuo figlio Davide ha debuttato alla grande vincendo subito una corsa in Francia, sei orgoglioso di lui?
«E come non potrei? E' stato molto bravo, ha la mentalità adatta per fare il corridore e io non lo stresso troppo quando ci vediamo a casa. E' giusto che si costruisca la carriera da solo e non credo che sarebbe positivo per me diventare il suo diesse. Il ciclismo deve continuare a piacergli e allo stesso tempo non deve perdere il senso del dovere verso i suoi tecnici e i compagni di squadra».

Veniamo al Tour de France 2016: gerarchie?
«Aru parte come capitano. E' in ripresa dopo il Delfinato nel quale è andato a corrente alternata e ha perso terreno sulle salite. Sono certo che al via del Tour Fabio sarà competitivo».

Non correte il rischio di contribuire a creare o a rafforzare il dualismo tra Aru e «No, non date retta a chi semina zizzania per tenere vivo l'interesse dei media. I nostri due uomini di punta sono leali e si rispettano, quindi non ci saranno problemi. Vincenzo correrà il Tour per preparare al meglio le Olimpiadi di Rio, dove lo ritengo in grado di lottare per la vittoria. Al Tour dovrà essere una specie di angelo custode per Fabio».

Se in qualche tappa durante la prima settimana della Grande Boucle Aru perdesse terreno, per una caduta, una foratura o per colpa di qualche ventaglio, cosa dovrebbe fare Nibali?
«Sicuramente dovrebbe attenderlo e poi cercare di riportarlo al più presto in gruppo».

 Parliamo degli avversari più agguerriti?
«Il solito irriducibile Contador, Froome e soprattutto i colombiani, con Quintana che nell'ultima settimana del Tour 2015 si dimostrò il più forte di tutti».

Anche nell'Astana avete un giovane colombiano molto promettente
«E' Miguel Angel Lopez Moreno, un talento incredibile, vincitore pochi giorni fa del Giro di Svizzera. Ha soltanto 22 anni e lo notammo al Tour de l'Avenir nel 2014. Vinokourov è poi stato molto abile riuscendo subito a farlo firmare per noi».

Tu e Nibali siete a fine contratto con il team Astana: come sarà il vostro futuro?
«Ormai mi sembra molto improbabile che Vincenzo resti, salvo qualche... miracolo di Vinokourov. E' un peccato perché credo che qualsiasi diesse sognerebbe di dirgere due assi del calibro di Nibali e di Aru e io posso confermare che non è difficile guidarli. Dopo sette anni di lavoro scade anche il mio contratto, mi piacerebbe restare ma prima vorrei vedere quali saranno gli inserimenti di nuovi atleti e i programmi».

I tuoi ricordi più belli come diesse e come ciclista?
«Come diesse il successo di Nibali a Sant'Anna di Vinadio quest'anno. Come ciclista la medaglia d'argento che conquistai – dopo la squalifica del tedesco Thaler – alle Olimpiadi di Montreal. Eravamo in sei in testa e proprio nel finale ci beffò lo svedese Johansson che vinse per distacco. Io regolai allo sprint il gruppetto degli inseguitori ad una trentina di secondi dal vincitore. Una giornata memorabile, vissuta in un ambiente da sogno e la mia fu l'unica medaglia conquistata in quell'edizione dei Giochi Olimpici dal ciclismo italiano».

Andrai a Rio?
«No, dopo il Tour mi riposerò a casa e vedrò le Olimpiadi alla TV, ovviamente tifando Nibali e Italia che su di un tracciato duro e insidioso dovranno guardarsi principalmente da Valverde e dai colombiani. Inoltre, per la prima volta in sette anni, non sarò alla Vuelta di Spagna. In precedenza ero sempre stato sull'ammiraglia in tutti e tre i grandi Giri a tappe».

Nel ciclismo di oggi la doppietta vittoriosa Giro-Tour è impossibile?
«Impossibile non lo è, però è molto difficile da realizzare. Quest'anno toccherebbe a Nibali provarci, ma non lo vedo altamente competitivo per il Tour».

Troppi incidenti causati da auto e moto nel ciclismo?
«Bisogna investire nella formazione e ottimizzare le selezioni di chi segue le gare ciclistiche, soprattutto nel nord Europa. Però le strade odierne, disseminate di spartitraffico e rotonde, possono causare problemi gravi alle gare ciclistiche».

Fra i campioni che hai guidato, chi ricordi con maggiore piacere?
«Sicuramente Marco Pantani, grande e sfortunato. Attualmente apprezzo molto sotto il profilo umano sia Nibali che Aru, due ragazzi d'oro».

Con il caso Schwazer-bis sono stati fatti accostamenti alla vicenda Pantani: sei d'accordo?
«La vicenda di Schwazer mi rattrista parecchio. Come accadde con Pantani forse molte cose sono state capite in ritardo e con difficoltà. Comunque, prima di pronunciarmi, attendo le controanalisi».

Con i ragazzi che alleni ti scappa mai un "Ai miei tempi....”
«Sì, certamente. Poi però tutto finisce in una risata, specialmente quando cito dei miei ex-compagni di squadra che i giovani ciclisti di oggi non hanno mai sentito nominare».

Stefano Fiori, da Il Tirreno
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COMMENTI
MARTINELLI CAMPIONE DEL MONDO (più volte..) dei D.S.
28 giugno 2016 18:16 roger
Bellissima intervista! Davvero molto significativa! Ho seguito tutta la tua carriera, da corridore e da direttore. Da Pantani a Nibali, quante bellissime ed indimenticabili soddisfazioni. Quanta strada hai fatto dalle prime 500 mila lire che ti diede come premio Fanini per la tua vittoria in maglia San Giacomo nel circuito di Cecina. Bravo Martino e complimenti anche a tuo figlio che sta facendo tantissimo già al suo primo anno da professionista. E' proprio vero che buon sangue non mente! E vedrai quante soddisfazioni ancora dovranno arrivare in questo Tour e nei Giri futuri!! In bocca al lupo grande uomo e D.S.! Sono certo anche che sei il direttore sportivo con più vittorie in tutti i tempi nei grandi giri.

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