PROFESSIONISTI | 27/05/2016 | 11:40 21 Ha un cognome da vignetta di Altan, che sa di fabbrica e di operai, di torchio e pressa, ma che allo stesso tempo suona come se fosse su una rampa di lancio, pronto a decollare, a reazione, in verticale.
Ha caratteristiche da attaccante dove la strada tira in salita, così alto e asciutto, così secco e nervoso, così istintivo e scriteriato, perennemente affamato di aria e gloria, di solitudine e vittoria.
Ha un fan club che lo propone, lo promuove, lo proclama, lo promette, lo pronuncia come se fosse una diva di Hollywood, un profumo di Chanel, un atollo delle Maldive: tutti pazzi per Pirazzi.
Stefano Pirazzi – 29 anni, nativo di Alatri, reuccio di Fiuggi, capitano della Bardiani-Csf – è un corridore che avrebbe potuto gareggiare con il Diavolo Rosso (Giovanni Gerbi) per le avventure e con il Camoscio di Abruzzo (Vito Taccone) per le battaglie, che sarebbe stato inseguito da Indro Montanelli nei suoi pezzi e accompagnato da Sergio Zavoli nelle sue cronache, tant’è che fra tutti i 198 partenti al Giro d’Italia 2016 è stato scelto da “Caterpillar” (Radio Rai 2) come testimone unico della campagna per attribuire il Premio Nobel della pace alla bicicletta (“Bike the Nobel”). Alfred Nobel, ideatore del premio ma anche inventore della dinamite, lo avrebbe apprezzato.
Il forte di Pirazzi è un coraggio che sconfina nella follia, il debole di Pirazzi è la riservatezza che sfiora la timidezza. Pirazzi piace perché è umano, con tutti i suoi errori e le sue precipitazioni, i suoi anticipi troppo precoci e i suoi recuperi troppo tardivi, ma quando non sbaglia e non precipita, cioè quando diventa più ragionevole, attendista, risparmiatore, calcolatore, cioè più simile a tutti gli altri, si ha nostalgia delle “pirazzate” e ci si chiede dove sia finito il solito buon vecchio Pirazzi.
E’ finito in classifica al diciassettesimo posto. E lo Zio, Bruno Reberberi, che a fatica gli nasconde il suo affetto, si arrabbia perché sostiene che la gente non si ricorda di chi arriva secondo nella generale, figurarsi diciassettesimo. E lo lancia all’attacco, meglio oggi che domani, meglio domani che domenica, ma anche domenica, possibilmente entro domenica, perché da lunedì si va in vacanza. E lo Zio gli raccomanda di stare davanti, non dietro, cioè in testa al gruppo, non nella pancia o in fondo, perché giura, dall’alto dei suoi 35 Giri d’Italia (e si contano solo quelli dei professionisti), di non avere mai visto una fuga partire da dietro. E almeno su questo neppure Pirazzi gli può dare torto.
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