PROFESSIONISTI | 06/05/2016 | 07:22 65 Oggi, almeno per un minuto, sarà – come Fausto Coppi – un uomo solo al comando. Oggi, almeno per un minutino, sarà - virtualmente - maglia rosa. E non stiamo lì a sottilizzare come la sorte, o il sorteggio, lo abbia voluto premiare come primo a partire nella prima tappa a cronometro.
Fabio Sabatini ha 31 anni, il dorsale 65, 10 stagioni (questa è l’undicesima) da professionista, 0 vittorie individuali (ma una quantità di piazzamenti) e 2 collettive (cronosquadre: una al Giro d’Italia 2010, l’altra al Tour de San Luis 2016), una superficie di 1,87 in altezza per 74 kg di peso, tutti numeri che lo descrivono, lo certificano, lo valorizzano.
C’è un altro numero che racconta la sua vita: il 167, ultimo, al Tour de France 2011, a 3.57’43” dal primo, Cadel Evans. Ma siccome la vita è un testacoda, è un sottosopra, ed è anche un suppergiù, se si rovescia la classifica, se si comincia dal fondo, se è vera la storia del beati-gli-ultimi, quel 167 valeva l’1, dunque con un vantaggio di 3’08” sul penultimo, pardon, sul secondo, Andrey Amador. Per amore di precisione, di cronaca e del ciclismo, bisogna ricordare che Sabatini cadde durante la quinta tappa, e gli fu diagnosticata una sciatalgia, allora consumò i denti e arrivò a Parigi, e lì gli fu radiografata la frattura composta dell’osso sacro. Adesso concentratevi e pensate che cosa dev’essere scalare l’Alpe d’Huez o il Galibier in quello stato lì.
Sabatini, che aveva ereditato la passione dal babbo dilettante e a 6 anni già correva, da velocista vincente (campione italiano fra gli allievi, su strada e nell’inseguimento) si è trasformato in vagone o locomotiva, in treno o capotreno, in rimorchiatore o pesce-pilota. Per referenze, chiedere a Petacchi e Bennati, Cavendish e Boonen. Adesso è alle dipendenze di Kittel, anche se, a guardare bene le cose, e le corse, è Kittel a dipendere da Sabatini, dalle sue intuizioni e dalle sue sgasate.
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